Vincitori e vinti in Medio Oriente 09/12/2024
Commento di Ben Cohen
Autore: Ben Cohen

Vincitori e vinti in Medio Oriente
Commento di Ben Cohen
(Traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jns.org/winners-and-losers-in-the-middle-east-the-story-so-far/

Winners and losers in the Middle East: The story so far - JNS.org

Per la Turchia e il Qatar, guadagni netti. Per l'Iran e i suoi alleati palestinesi e libanesi, perdite nette. Per Israele, la guerra per la propria sopravvivenza continua, e l'unico risultato possibile è la vittoria

Dopo oltre un anno di sanguinosi conflitti in Medio Oriente innescati dal pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023 in Israele, sta diventando più chiaro quali delle molteplici parti coinvolte abbiano registrato guadagni netti e quali perdite nette. Cominciamo dai palestinesi. L’obiettivo tenace degli stupratori e degli assassini di Hamas è stato quello di riportare la questione palestinese al centro della coscienza mondiale. Per almeno 10 anni, la guerra civile in Siria, la guerra contro l'ISIS, il fallimento della “primavera araba” nell'introdurre una democrazia stabile e duratura nella regione e i trattati di normalizzazione tra Israele e un gruppo di monarchie arabe altamente conservatrici hanno sostituito i palestinesi dalla loro posizione gelosamente custodita come la questione dominante e irrisolta della regione.

Il 7 ottobre ha cambiato tutto trasformando la questione palestinese in un problema interno riguardante una serie di Paesi, uno status che in genere sfugge alla miriade di altri conflitti in tutto il mondo. La “Palestina” è stata un problema nelle elezioni in Irlanda, Francia, Regno Unito e, naturalmente, negli Stati Uniti. È stato un problema per le forze dell'ordine, poiché i dipartimenti di polizia nelle città di tutto il mondo hanno lottato per gestire manifestazioni di massa e accampamenti nei campus, troppo spesso con il risultato che gli ufficiali di polizia hanno guardato dall'altra parte mentre folle urlanti hanno apertamente sostenuto organizzazioni terroristiche, riciclato i più rozzi tropi antisemiti, commesso atti vandalici e aggressioni e interrotto eventi sportivi e culturali. E, parliamoci chiaro, la guerra a Gaza ha dato alla vita di milioni di persone irrequiete e poco informate un significato ed uno scopo mentre affrontano la macchina da guerra sionista che loro credono sia alla radice delle sofferenze dei palestinesi, e quindi anche alla radice delle loro. Eppure i veri palestinesi, in particolare i palestinesi di Gaza, potrebbero chiedersi se uno qualsiasi di questi risultati valesse un anno di bombardamenti che hanno distrutto la loro enclave costiera e che li hanno messi alla mercé di Stati esterni quando si parla di ricostruzione e di governo postbellico. Hamas è stato decimato e non è ancora chiaro chi governerà Gaza in futuro e come lo farà. Il prezzo delle suddette vittorie politiche per i palestinesi è stato un disastro militare e un'incertezza a lungo termine.

Per Israele, quell'effetto è stato sostanzialmente invertito. Militarmente, grazie alla disciplina e al coraggio delle Forze di difesa israeliane, lo Stato ebraico è in una posizione molto più dominante di quanto non fosse prima del 7 ottobre sia sul fronte di Gaza che su quello del Libano (ovvero, i suoi confini meridionali e settentrionali). Oltre a sferrare potenti colpi contro Hamas, Israele ha fondamentalmente indebolito l'altro rappresentante dell'Iran, Hezbollah, al punto che quest’ultimo non riesce a radunare combattenti per difendere il regime traballante di Bashar Assad in Siria, come invece riuscì a fare un decennio fa. Tuttavia, in termini politici e diplomatici, negli ultimi 14 mesi la posizione globale di Israele è stata significativamente compromessa da ripetute accuse di “genocidio.”Il suo Primo Ministro ed l’ex Ministro della Difesa non possono recarsi in gran parte del resto del mondo, inclusa la maggior parte dell'Unione Europea, per paura di essere arrestati in base ai mandati emessi il mese scorso dalla Corte Penale internazionale dell'Aia. Dai festival letterari alle partite di calcio, gli israeliani stanno provando il tipo di disprezzo un tempo riservato all'apartheid in Sudafrica, sebbene associato ad una violenza molto più letale. In relazione a ciò, le comunità ebraiche nella diaspora stanno vivendo un'ondata di intimidazione antisemita mai vista dagli anni '30. L'imminente arrivo di una nuova amministrazione alla Casa Bianca potrebbe, come molti si aspettano, cambiare queste sorti, soprattutto quando si tratta delle questioni cruciali riguardo alla difficile situazione degli ostaggi rimasti a Gaza e al ritorno di migliaia di israeliani sfollati dalle loro case nel nord per gli attacchi di Hezbollah. Ma nulla è garantito. Trattare con il regime iraniano, le cui macchinazioni sono al centro di questo conflitto, sarà uno dei principali obiettivi della prossima politica estera dell'amministrazione Trump. Eppure, ancora prima che Donald Trump entri di nuovo nello Studio Ovale, l'Iran appare già danneggiato e più debole rispetto al 7 ottobre. Mentre i suoi attacchi missilistici contro Israele non sono riusciti a intaccare né l'IDF né la determinazione della popolazione israeliana, le risposte di Gerusalemme hanno gravemente logorato le difese aeree dell'Iran e evidenziato la vulnerabilità del suo programma nucleare. Oltre a vedere i suoi proxy di Hamas e Hezbollah privati dei leader, l'Iran ora sta osservando il regime di Assad in Siria aggrapparsi alla sopravvivenza. L'Iran mantiene ancora i suoi proxy in Iraq e Yemen, ma anche questi potrebbero trovarsi sulla linea di fuoco con una nuova amministrazione a Washington. “Sebbene l'Iran di oggi sia fiducioso di poter combattere per difendersi, vuole la pace”, ha scritto il suo ex ministro degli Esteri in un articolo francamente ridicolo per Foreign Affairs. Ciò suona sospetto, come un appello agli avversari del regime a trattenersi, perché la realtà è che il regime non può difendersi da Israele, per non parlare del popolo iraniano, una porzione crescente del quale detesta sinceramente la Repubblica islamica ed è determinata a sbarazzarsene.

Per due Stati della regione, le prospettive sono purtroppo più rosee. Uno è la Turchia, la cui appartenenza alla NATO rimane indisturbata nonostante gli attacchi sempre più sgangherati contro Israele lanciati dal suo Presidente autocratico, Recep Tayyip Erdoğan, e il suo aperto sostegno ad Hamas. Ironicamente, la punizione di Hezbollah da parte di Israele ha aiutato Erdoğan in Siria, dove la Turchia sta sostenendo le forze anti-Assad nel nord del Paese, anche se non dobbiamo aspettarci che lo riconosca.

In secondo luogo, c'è il Qatar, un emirato fondato sulla legge della Sharia, dove poco più del 10% della popolazione gode di piena cittadinanza mentre la stragrande maggioranza, composta principalmente da lavoratori migranti che lavorano in condizioni di schiavitù, vive in una forma di vera e propria apartheid. La fiducia dell'amministrazione Biden nel fatto che il Qatar, sostenitore finanziario e diplomatico di Hamas, la cui capitale ospitava i leader dell'organizzazione terroristica, potesse agire da onesto mediatore nei negoziati per il rilascio degli ostaggi, è stata spettacolarmente mal riposta, con più di un anno trascorso dall'unico scambio di prigionieri che ha costretto Israele a rilasciare i palestinesi condannati per terrorismo e violenza. Nonostante questo triste fallimento e la sua posizione ambigua sul terrorismo, la famiglia regnante del Qatar continua a essere festeggiata dai leader internazionali, la volta più recente a Londra, dove la famiglia reale britannica si è recata diligentemente al Mall per una parata di benvenuto all'emiro in visita. Nel prossimo futuro, la straordinaria ricchezza del Qatar, unita al suo controllo finanziario su molte capitali mondiali, rappresenta una garanzia di immunità dalle critiche, per non parlare delle sanzioni vere e proprie. Per la Turchia e il Qatar, quindi, guadagni netti.

Per l'Iran e i suoi proxy palestinesi e libanesi, perdite nette. Per Israele, la giuria è ancora indecisa. Il primo anno del mandato di Trump ci dirà senza dubbio di più.

Ben Cohen Writer - JNS.org

Ben Cohen, scrive su Jewish News Syndacate