Le spassionate, puntuali osservazioni di un giornalista-soldato al ritorno da Gaza
Commento di Michael Starr
Testata: israele.net
Data: 05/12/2024
Pagina: 1
Autore: Michael Starr
Titolo: Le spassionate, puntuali osservazioni di un giornalista-soldato al ritorno da Gaza

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - un articolo di Michael Starr tradotto da Jerusalem Post dal titolo: "Le spassionate, puntuali osservazioni di un giornalista-soldato al ritorno da Gaza"

Michael Starr, un giornalista soldato israeliano
Uno sguardo dall’interno sulla durissima guerra che, da più di un anno, impegna i soldati d’Israele contro nemici annidati fra i civili e votati alla distruzione dello Stato ebraico. Ancora una volta, la folle teoria del genocidio viene smentita

Domenica scorsa sono tornato al Jerusalem Post dopo aver servito come riservista delle Forze di Difesa israeliane per quasi 80 giorni nel mio secondo turno di richiamo in servizio nella Gaza post massacro del 7 ottobre.

La mia esperienza aneddotica come soldato di fanteria e la mia prospettiva come giornalista nella vita civile mi hanno offerto una prospettiva particolare sui problemi della guerra, allo stesso tempo ben noti ma non del tutto noti.

Propongo una decina di spunti di riflessione, come uno che è stato nel fango del campo di battaglia, auspicando che vengano presi in considerazione dai decisori politici e dai cittadini per i quali gran parte delle informazioni sulla guerra sono di seconda mano o per sentito dire.

Le Forze di Difesa israeliane stanno vincendo e devono essere messe nelle condizioni di vincere

Rispetto alle operazioni durante il mio primo turno di servizio verso la fine del 2023, oggi c’è la sensazione che Hamas stia crollando. Allora l’organizzazione terrorista schierava cellule che conducevano frequenti imboscate con attacchi missilistici anticarro del tipo mordi e fuggi, sfruttando l’enorme rete di bunker e tunnel nel quadro di una strategia da guerriglia attestata su una difesa in profondità.

Quasi un anno dopo, Hamas sembra incapace di operare a livello strategico, anche da aree in cui i suoi battaglioni sono rimasti strutturalmente interi o si sono ricostituiti da unità degradate. Lo si vede dall’incapacità di Hamas di lanciare rappresaglie mirate dopo la morte di capi militari o di tentare attacchi tradizionali durante le festività ebraiche o gli anniversari del 7 ottobre.

In generale i terroristi non operano di notte né alla luce del giorno, dipendendo sempre più dalla scarsa visibilità dell’alba e del tramonto, mentre prima i loro agenti operavano apertamente nelle ore diurne perché dopo ogni attacco potevano fuggire sottoterra. A quanto pare la loro rete di tunnel è gravemente compromessa, tanto che devono muoversi lungo le strade e infilarsi tra gli edifici.

Le loro operazioni si concentrano su ordigni esplosivi artigianali e attacchi di cecchini solitari anziché sull’uso di munizioni più pesanti. Ma dedicano sempre molta attenzione a filmare qualsiasi ingaggio in modo da poter manipolare il filmato e sostenere davanti ai loro fan e ai cittadini israeliani di aver distrutto veicoli israeliani.

Il furto di aiuti umanitari a quanto pare non è sufficiente per sostenere alcuni battaglioni di Hamas, che spesso fanno ricorso all’invio di agenti in borghese per saccheggiare cibo e rifornimenti da posizioni abbandonate dalle forze israeliane.

Le loro bombe da mortaio cadono in modo molto meno preciso di quanto non facessero in passato e non abbiamo incontrato alcuna attività di droni nemici.

Il corridoio di sicurezza di Netzarim sembra relativamente sicuro, con strade asfaltate e nostri avamposti che ricevono energia da linee elettriche.

Tuttavia, anche se molti miei commilitoni sono rientrati dal servizio con un atteggiamento positivo circa i progressi delle Forze di Difesa israeliane, la strada verso la vittoria è ancora lunga e non si deve confondere i successi di percorso con la meta finale.

Molti soldati mescolano la loro sensazione di un significativo degrado di Hamas con la sensazione che l’esercito sia trattenuto dall’agire in maniera decisiva, entrando e uscendo da aree secondo modalità che consentono a Hamas di mantenere il controllo territoriale.

I gravi danni subìti da Gaza

Durante combattimenti diretti, la ricerca e la distruzione di tunnel e delle trappole esplosive e la creazione di posizioni difendibili sono stati distrutti interi quartieri. Molti edifici sono stati danneggiati per la loro vicinanza a esplosioni o colpiti dal fuoco di sbarramento e copertura, altri hanno avuto i muri esterni demoliti per rivelare la possibile presenza di terroristi, molte strade sono state divelte per svelare la presenza di trappole esplosive. L’entità dei danni alle infrastrutture non è del tutto chiara al grande pubblico e i leader israeliani e internazionali dovranno sviluppare piani estesi per la ricostruzione del territorio. Macerie e rifiuti sono sparsi lungo ampi settori della striscia di Gaza e dovranno essere raccolti e rimossi affinché quelle aree siano percorribili, per non dire abitabili. Gaza era ben lungi dall’essere una “prigione a cielo aperto” Una delle cose più scandalose emerse dai danni estesi alle infrastrutture è che Gaza non era affatto la desolata “prigione a cielo aperto” pubblicizzata dalla propaganda anti-israeliana. Sebbene vi fossero certamente abitanti che vivevano in condizioni misere, tuttavia le case, gli appartamenti e le ville che abbiamo sgomberato e in cui abbiamo preso posizione mostravano generalmente una qualità della vita dignitosa e a tatti persino opulenta. Tutte le case che abbiamo visto avevano televisori, computer, frigoriferi, decorazioni e negozi di alimentari del tutto simili a quelli di un qualunque sobborgo israeliano.

Non abbiamo avuto nessuna impressione di squallore, ma di condizioni di vita normali. Nelle aree rurali, ville e palazzi dominavano vasti vigneti, da un lato, e vista sul mare dall’altro. Nelle aree urbane, grandi scuole, ristoranti e altre strutture.

Il potenziale che è andato perduto e le attuali condizioni degradate di Gaza rendono ancora più vergognosa la decisione di Hamas di attaccare Israele e di usare quel territorio come un’arma, anziché sviluppare il territorio ciò che controllava.

Hamas ha trasformato la striscia di Gaza un’arma contro Israele

Si è detto molto sull’uso da parte di Hamas di civili come scudi umani per ostacolare le operazioni delle Forze di Difesa israeliane. Un civile arrestato ci ha detto che non era in grado di spostarsi da nord a sud lungo i corridoi umanitari perché per farlo avrebbe dovuto corrompere gli agenti di Hamas, decisi a trattenere i civili intorno a loro come copertura.

Eppure i civili sono solo un aspetto della strategia di Hamas volta a trasformare Gaza in un’arma per cercare di distruggere Israele. Le reti di tunnel non sono solo posizionate intorno o sotto strutture civili. Le infrastrutture terroristiche sono totalmente integrate nelle strutture civili in un modo che le rende indistinguibili (e che spiega le vaste demolizioni).

Le case dei civili sono state trasformate in avamposti di avvistamento e ricognizione, i membri delle famiglie sono stati arruolati da organizzazioni terroristiche per fornire informazioni e appoggio, come abbiamo constatato dall’arresto di osservatori ad opera di un battaglione a noi vicino.

Le armerie sono state nascoste all’interno delle case affinché fossero accessibili ai terroristi in borghese quando devono disfarsi della parvenza di civili.

Gli ingressi dei tunnel si trovano al piano terra dei condomini, non solo nei loro cortili. Molte case sono imbottite di trappole esplosive, il che porta a comportarsi sulla base dell’assunto che possano esserlo praticamente tutte.

Il fatto che Gaza fosse trasformata in una enorme piazzaforte armata ha portato le unità militari ad adottare misure precauzionali e azioni che colpiscono case ed edifici allo scopo di salvarsi la vita.

Le Forze di Difesa israeliane non stanno conducendo nessun genocidio

Lo scopo delle nostre operazioni non è orientato all’eliminazione di civili. Non abbiamo mai ricevuto l’ordine di colpire civili in modo arbitrario e ci sono continue discussioni nei ranghi sul fatto se si hanno o meno informazioni sufficienti per usare forza letale e quando sia legittimo aprire il fuoco.

Ai civili è stato permesso transitare indisturbati davanti alle nostre posizioni lungo i corridoi umanitari.

Sono tutte cose che non esisterebbero se una forza militare fosse dedita all’omicidio di massa per non dire al genocidio. Le vittime civili sono tragiche e purtroppo si verificano sempre in guerra, motivo per cui queste guerre dovrebbero essere evitate sin dall’inizio.

E’ necessario ripristinare una certa disciplina nelle Forze di Difesa israeliane

Sebbene i soldati delle Forze di Difesa israeliane non siano coinvolti in crimini di guerra di massa né tantomeno genocidi, vi sono certamente comportamenti inappropriati e talvolta persino criminali. Alcuni soldati mi hanno raccontato storie di furti, e personalmente ho dovuto impedire a qualcuno temporaneamente assegnato al nostro battaglione di portare via una collana da un’abitazione.

Sebbene il mio battaglione non abbia portato i telefoni cellulari a Gaza fino all’ultima settimana di servizio, quando siamo stati trasferiti in una postazione di retroguardia, abbiamo visto un uso diffuso di telefonini da parte di altre unità a noi vicine.

E’ assolutamente preoccupante, non solo perché i post sui social media possono essere utilizzati dai nemici per geo-localizzare le nostre posizioni e raccogliere informazioni, ma anche perché manifestazioni di bullismo machista e scherzi inappropriati nei video e nelle foto screditano la legittimità morale dell’esercito e creano un’atmosfera eccessivamente rilassata e confidenziale che a qualcuno può anche costare la vita.

Mentre i giornalisti in zona di guerra devono adeguarsi al filtro della censura militare, molti di noi hanno avuto la sensazione che l’esercito faccia troppo poco per richiamare all’ordine soldati che si comportano come pessimi portavoce, persino documentando comportamenti che appaiono inaccettabili.

Anche piccole questioni, come distintivi non autorizzati attaccati sulle uniformi, portano a un crollo della disciplina che può condurre a comportamenti ancora più gravi, indegni dell’etica delle Forze di Difesa israeliane.

I vertici militari non sembrano disposti ad affrontare l’eccessivo coinvolgimento delle famiglie e il calo di effettivi che deriva dal disciplinare comportamenti inappropriati.

La fiducia nella leadership militare è erosa

Il fallimento legato al massacro del 7 ottobre ha portato a una sfiducia nei vertici militari tra molti soldati di leva e riservisti con cui ho parlato. È diventato un ritornello comune tra i ranghi non fidarsi di nessuno al di sopra del grado di comandante di battaglione.

Gli ufficiali di alto rango vengono sommariamente criticati come gli ufficiali “del 6 ottobre”, fuori dal mondo, preoccupati della loro carriera, dediti più a spuntare le caselle dei compiti assegnati che a modificare effettivamente la realtà sul terreno.

Sia i riservisti che i soldati di leva sono estremamente orientati ai risultati, e se ritengono che gli ufficiali siano più concentrati sul rispondere ai superiori che sulla realtà sul terreno i loro ordini perdono validità.

I vertici militari, come anche la leadership politica, dovrebbero dimostrare ai soldati che i pesanti sacrifici che fanno per la vittoria non sono vani.

Frustrazione dei riservisti per le beghe nazionali

Quando è uscita la notizia che il ministro della difesa Yoav Gallant era stato destituito dal primo ministro Benjamin Netanyahu, nella nostra compagnia è scoppiato un acceso dibattito sulla legittimità della mossa.

Il campo filo Netanyahu sosteneva che c’erano divergenze professionali sulla strategia militare che non potevano essere superate.

Altri pensano che la mossa sia stata fatta per salvare la coalizione perché i partiti haredi (ultra-ortodossi) hanno minacciato di uscirne a causa dell’opera di Gallant volta all’arruolamento dei giovani haredi. Ritengono che si siano sviluppati troppi sospetti e rancori sulle mosse politiche all’interno dell’attuale governo, sospetti alimentati da politici che continuano a perseguire i loro precedenti interessi politici, come i principali sostenitori della riforma giudiziaria che già adesso vorrebbero rilanciare quel processo.

Mentre i soldati combattono e muoiono, non hanno la sensazione che i politici siano al loro fianco e prendano la guerra veramente sul serio. Questa sfiducia riguarda anche gli esponenti dell’opposizione. Quando vedono gli stessi soggetti che erano protagonisti delle proteste anti-riforma manifestare ora per accordi sugli ostaggi a qualunque prezzo, molti soldati mi hanno detto che non possono fare a meno di chiedersi se costoro sono motivati dal bene della nazione o dai loro programmi politici.

Le Forze di Difesa israeliane hanno bisogno di più effettivi

Mentre la guerra e il dibattito su chi è stato arruolato continuano, i riservisti si sentono sempre più frustrati per il fatto che alcuni gruppi demografici traggono beneficio dal sangue e dalla fatica dei riservisti senza contribuire personalmente all’impresa. Il mio vice comandante di battaglione e il comandante di compagnia militano da civili in movimenti che invocano una leva più equa.

La necessità di arruolamenti più numerosi cresce nel momento in cui gli attuali riservisti affrontano sempre più turni di richiamo e vengono spinti a ritirarsi. Il nostro battaglione ha visto un calo dei rientri poiché diversi riservisti devono fare fronte a crescenti crisi in famiglia, sul lavoro e di salute.

Molti riservisti sono tornati nonostante queste difficoltà: i sacrifici che fanno vanno oltre il rischio di essere feriti o uccisi.

I soldati meritano di vincere

I sacrifici dei riservisti e dai soldati di leva vengono fatti dietro l’implicita promessa che serviranno per vincere la guerra contri nemici votati a distruggere il paese e i suoi abitanti.

Nelle sue decisioni politiche e strategiche, lo stato deve considerare non solo i comprensibili sentimenti delle famiglie degli ostaggi e degli abitanti sfollati dalle loro case, ma anche quelli di coloro che sono disposti a dare tutto per gli ostaggi e gli sfollati e per la nazione.

I riservisti vogliono che vengano risolti i problemi che hanno portato al 7 ottobre: non vogliono che questa guerra diventi l’ennesimo round di un conflitto che va avanti come prima.

Continueremo a combattere per Israele, ma non vogliamo dover tornare a Gaza e in Libano tra qualche anno: non solo per il nostro bene, ma anche per quello di tutti gli israeliani e degli stessi palestinesi e libanesi. (Da: Jerusalem Post, 2.12.24)

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