Imparare a difendersi dalle parole dei cattivi maestri 03/12/2024
Editoriale di Fiona Diwan
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Riprendiamo da BET Magazine di dicembre 2024, a pagina 1, l'editoriale della direttrice Fiona Diwan.

Vita e sogni, poesia e regole: l'etica della riconoscenza nel Talmud |  Kolòt-Voci
Fiona Diwan

Caro lettore, cara lettrice, il conformismo è tra le più gravi patologie
che possano affliggere un corpo sociale, è il bisogno di adeguarsi al pensiero dominante, è il “così fan tutti”, il bisogno di detestare l’Altro (e certuni più di altri), come se senza un nemico da odiare le società e gli individui non sapessero più chi sono e smarrissero il senso di sé, l’identità. Pochi ne sono immuni. Lo spirito critico, si sa, non è redditizio. In certi periodi storici la spinta al conformismo si fa così violenta da dominare le coscienze, pochi esenti, ivi comprese le tribune oratorie degli oracoli del sapere, dei papaveri della cultura, un saccente Parnaso di tuttologi divenuti tali nel momento in cui fuoriescono dal loro campo specifico di studio e competenza per avventurarsi in analisi e giudizi personali sovente arbitrari. Elite intellettuali che magari risultano governate da pulsioni o ideologie che col raziocinio hanno poco a che fare. Sono i cosiddetti “cattivi maestri”: avviluppati nel mantello dell’autorità (accademica,
sacerdotale, giornalistica, intellettuale...) pontificano, polemizzano,
discutono su ogni tema e argomento, - chissenefrega se ne sai poco o quanto basta -, maestri di quel pret-a-penser che sa rimboccare le coperte all’opinione maggioritaria e dominante, abile nel coccolare lo spirito del tempo, spalancando le finestre all’aria che tira pur di trovare plauso e favore (vedi la storia di copertina). Un pericolo da cui difendersi, specie oggi con la “tendenza a fissarsi sugli ebrei, a metterli al centro della narrazione, esagerando il loro ruolo nella società e descrivendoli come la causa principale di qualsiasi fenomeno indesiderato”, come ha scritto l’enfant-prodige del giornalismo americano, Franklin Foer.
A nulla serve ricordare fatti ed evidenze; parole al vento, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Ad esempio, che si chiama Diha Sabah l’attaccante musulmano israeliano che ha fornito l’assist a Yarden Shua, il giovane giocatore israeliano che ha segnato il gol durante la partita di Nations League Belgio-Israele, giocata a Budapest poche settimane fa. Fiato sprecato provare a dir loro che la “squadra dell’apartheid” ha segnato un gol perché un ebreo e un arabo erano in perfetta sintonia sportiva, entrambi furibondi per non aver potuto giocare la partita a Bruxelles perché, dopo i fatti di Amsterdam, la sicurezza di tifosi e giocatori non poteva esser loro garantita. A nulla serve ricordare, ad esempio, che un arabo, George Kharra, siede alla Corte Suprema d’Israele, il più alto organo giudiziario; che su giornali e reti televisive israeliane compaiono tutti i giorni firme di giornalisti arabi che vi lavorano regolarmente con visibilità e stipendi per nulla inferiori a quelli dei colleghi israeliani (ad esempio Khaled Abu Toameh); che l’amministratore delegato di Bank Leumi, la più importante d’Israele, è l’arabo Samer Haj Yehia; che il vice presidente di Intel Israel si chiama Reda Masarwa, anch’egli arabo; che medici, infermieri, dentisti, studenti universitari... sono, in Israele, in buona parte arabi palestinesi.
Che dire poi di Greta Thunberg e dei suoi seguaci che invocano “la
giustizia climatica in Palestina”? Forse non sanno quanto Israele sia
in grado, con le sue innovazioni in fatto d’acqua, di ricavarla dall’aria
del deserto e dalle onde del mare, e quanto gli accordi di Abramo
abbiano generato virtuose collaborazioni in fatto di tecnologie idriche.
E ci mancava anche il Papa adesso che, dallo scrittoio vaticano
chiede di indagare se a Gaza non si tratti davvero di genocidio mentre, contemporaneamente, strizza l’occhio agli ayatollah iraniani creando cardinale l’arcivescovo di Teheran e sottolineando che la Chiesa non è contro la Repubblica islamica.
Insomma, proprio nulla sembra scalfire i Soloni del free Palestine o,
nei casi migliori, la loro prudente equidistanza. Come santi in colonna eccoli ripetere il mantra avvelenato delle parole senza preoccuparsi di prendersi la responsabilità delle conseguenze: apartheid, genocidio, pulizia etnica, colonialismo, razzismo... A nulla serve ricordare fatti ed evidenze. Forse i “cattivi maestri” non sanno che...? O forse lo sanno benissimo ma semplicemente non gli è utile dirlo? Chissà.

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