Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/11/2024, a pag. 1/2, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo: "Fatwa scolastica".
Giulio Meotti
La Corte d’assise speciale di Parigi, dopo aver condannato sei minorenni, è chiamata a giudicare otto adulti, accusati di aver avuto un ruolo nella “macchina infernale” che quattro anni fa ha seminato l’odio contro Samuel Party e portato alla sua decapitazione davanti al collège di Conflans- Sainte-Honorine da parte di un estremista islamico. I due protagonisti più assurdi di questa macchina infernale sono due professori che erano colleghi di Paty.
Jeff T. è il primo a parlare in tribunale. In una email inviata a tutti gli insegnanti e letta dal presidente del tribunale in udienza, Jeff una settimana prima che Paty fosse decapitato scriveva alla preside: “Scrivo questo messaggio oggi perché sento il bisogno di dire che non sto sostenendo il nostro collega. Mi rifiuto di essere complice con il mio silenzio. Questa situazione, ai miei occhi, altera il legame di fiducia che ogni giorno cerchiamo di rinsaldare con le famiglie che hanno scelto la scuola pubblica per i loro figli e, visto il contesto in cui si svolge, mette in pericolo l’intera comunità”. Qualche giorno dopo, gli insegnanti ricevono una comunicazione dalla preside. L’email si intitola “notizie terribili”. Paty era stato appena decapitato da Abdouallakh Anzorov, un diciottenne di origine cecena, che aveva detto di dover “vendicare” il Profeta dell’islam. Paty aveva mostrato alcune vignette di Maometto nell’ambito di una lezione di Educazione civica.
Quattro anni dopo, in un drammatico esercizio di contrizione, Jeff dice in aula di “pentirsi” di aver scritto di essersi “dissociato” dal collega. “Mi pento di aver usato quel termine”. Poi tocca a Sophie C., l’altra insegnante che attaccò Paty. “Il nostro collega non solo non ha servito la causa della libertà di espressione, ma ha fornito argomenti agli islamisti e ha lavorato contro la laicità dandole l’aspetto di intolleranza e ha anche commesso un atto di discriminazione” scrisse al tempo. “La mia etica mi proibisce di essere complice in questo genere di cose”.
“Ho ripensato alle mie parole e ho detto che non ero d’accordo nel chiedere agli studenti di abbandonare la classe e ha concluso dicendo che non lo appoggiavo”, dice Sophie in aula, la voce rotta dai singhiozzi. “Temevo che cose del genere mettessero in pericolo la comunità educativa”. A differenza di Jeff, Sophie non chiede scusa. L’attacco a Paty, rivela, era dettato dalla paura. I video trasmessi dagli islamisti l’avevano “terrorizzata”: “Stavamo diventando un bersaglio. Poteva succedere di tutto: un’intrusione, un’aggressione con un coltello”. La sua voce in aula trema. Sophie trascorse la settimana precedente alla tragedia con gli occhi incollati alla finestra, convinta che un islamista potesse attaccare da un momento all’altro. “Se fosse qui, gli chiederei scusa per essere stato così duro con lui” dice Jeff in aula. E Sophie rivela un dettaglio sorprendente, che dice tutto: le insegnanti in quei giorni non indossavano i tacchi. Nel caso avessero dovuto scappare.
Intanto Mickaëlle Paty, sorella del professore, ha pubblicato un libro, “Le Cours de Monsieur Paty” (Albin Michel), che racconta gli ultimi giorni della vita di Samuel, in cui andava a scuola incappucciato, con un martello nello zaino, senza mai tornare a casa dalla stessa strada. Ma per l’ispettore inviato dal ministero dell’Istruzione, era Samuel “l’autore dei fatti”, il colpevole, e gli allievi erano le “vittime”. Scrive Mickaëlle nel libro: “Chiedevano la radiazione di mio fratello ai laici ed esortavano i correligionari a vendicare il Profeta”. E per la radiazione, i laici sono stati non meno solerti del ceceno decapitatore.
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