Riprendiamo da LIBERO di oggi, 12/11/2024, a pag. 25, con il titolo "La profezia di Singer su Israele si avvera ancora" la cronaca di Antonio Castro.
Coincidenze della storia. Mentre lo Stato di Israele è sottoposto all’attacco concentrico più imponente e lungo dalla sua fondazione - con ben sette fronti aperti da Gaza alla Cisgiordania, al Libano, dall’Iraq alla Siria, all’Iran allo Yemen - torna sugli scaffali italiani una nuova edizione del Viaggio in Israele di Isaac Bashevis Singer (Giuntina Editore, 192 pp.,18 euro).
Le riflessioni condensate negli articoli di questo ebreo errante, intellettuale cresciuto a cavallo tra due continenti, che ha scansato un paio di guerre mondiali ma che ha vissuto la tragedia della Shoah nei racconti di parenti e amici scampati, scavano nel profondo di chiunque si immerga nella lettura di questi reportage. Attenzione: non sono articoli da leggere e ingoiare tutti d’un fiato. Alcuni passaggi costringono a riflessioni profonde. «Mosè stesso», scrive Singer, quasi sentendosi in colpa, «non ha avuto il privilegio di entrare in questo Paese.
Herzl (Theodor primo presidente dell’Organizzazioni sionistica, ndr) non ha avuto la fortuna di vedere realizzato il suo sogno. Invece io, che non ho alzato un dito per costruire questo Stato, ci entro come un generoso parente acquisito».
Singer intraprende il suo esodo al contrario. Dagli States a Marsiglia, da sud della Francia a Napoli. E si sente un privilegiato.
Dopo un fortunoso passaggio a Napoli sbarcherà ad Haifa. Ma è già il viaggio un’esperienza formativa che racconta di «aver vissuto navigando con una moltitudine di ebrei» di varia estrazione sociale e differente provenienza. Ci sono gli ebrei tedeschi che non tollerano i modi dei sefarditi del nord Africa e della Spagna, gli askenaziti dell’est che si reputano custodi “nobili” della tradizione più rigorosa. Singer - cresciuto in una famiglia della Polonia legata al rispetto della tradizione - ha il merito di raccontare questa esperienza senza restare inchiodato ai rigidi binari del sionismo dilagante all’epoca.
L’aspetto sorprendente di questo diario giornalistico realizzato nel 1955 dal futuro Nobel per la Letteratura (premio conquistato nel 1978) è l’incredibile, quasi profetica, attualità con i conflitti che tentano di scuotere, ai nostri giorni, le fondamenta dello Stato di Israele.
Singer è l’erede di una famiglia di ebrei polacchi sfuggiti a metà degli anni Trenta dall’Est Europa. I primi rigurgiti nazionalsocialisti già spiravano dalla Germania hitleriana. Approdati negli Stati Uniti come decine di migliaia di altri ebrei europei i Singer si adattano a vivere con poco. Un povertà che si porterà dentro anche 20 anni dopo quando- ormai già conosciuto e apprezzato autore - si imbarcherà per raggiungere la terra di Sion. Realizzerà così una serie di articoli per il quotidiano yiddish newyorkese Forverts. I racconti disegnano uno Stato appena nato. Le difficoltà di trasformare milioni di persone, differenti tradizioni e origini, in una nazione. Dare loro una identità comune, una lingua unica. Singer sintetizza così: «Non ci può essere incontro tra ebrei della diaspora di diversa provenienza se non c’è una grandissima tolleranza».
Riproporre oggi un concetto allargato a tutti coloro che già allora vivevano nei territori dell’ex Mandato britannico (ebrei, arabi, drusi, cattolici) era allora un atto di coraggio straordinario. Ma c’è di più: «Qui bisogna accogliere tutti: gli ebrei più osservanti e gli eretici peggiori, i biondi e i mori, la signorina e la pioniera, la báryšnja, la miss e la mademoiselle, le brave ragazze ebree figlie di rabbini, la moglie del rabbino che porta la parrucca in filo di seta e persino la Fräulein che si lamenta che gli ebrei puzzano e che le manca da morire la cultura tedesca». Bisogna immergersi nella stagione post bellica. Facendo memoria del senso di colpa che la montante consapevolezza dell’Olocausto aveva diffuso nel mondo.
L’Europa della ricostruzione, la Germania divisa, i blocchi contrapposti tra Est e Ovest.
Da quelle lettere da Israele Singer offre uno spunto di riflessione oggi quanto mai valido. Lui che «ha capito subito che se non ci fosse stata tolleranza reciproca il progetto sarebbe stato destinato al fallimento sin dall’inizio», ben sintetizza David Stromberg che di questa ultima edizione del Viaggio in Israele ha curato la traduzione.
Già allora il clima era tutt’altro che sereno. I nuovi coloni si imponevano. Volevano gettare le basi di una patria dove sentirsi al sicuro. Dove l’esodo potesse trasformarsi in ricordo. Certo, avverte, «il nemico può arrivare da tutte le parti: da nord, da sud, da est», avverte Singer dopo aver visitato il kibbutz Beit Alpha. Il viaggio nella cooperativa agricola israeliana che sorge ancora oggi ad un soffio del lago di Tiberiade, nel nord di Israele- il più antico e primo kibbutz fondato nel 1909 da un gruppo di immigrati polacchi - costringe a riavvolgere il nastro della nostra memoria recente. Il 7 ottobre 2023 con l’attacco terroristico di Hamas- l’attualità della profezia di Singer dell’accerchiamento si riaffaccia. Violente e terribile. C’è solo da sperare che il sogno di una «tolleranza reciproca» possa anch’esso avverarsi.
Male brigate di Hamas hanno ancora 101 ostaggi nei tunnel scavati sotto la Striscia di Gaza. E quindi oggi per tornare a ipotizzare la pace non resta che «riportarli a casa».
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