Riprendiamo da LIBERO di oggi, 12/11/2024, a pag. 5, con il titolo "Così l'acchiappafascisti Lepore ha rovinato la vita ai bolognesi" il commento di Pietro Senaldi.
Pietro Senaldi
Matteo Lepore ha speso gli ultimi giorni a veicolare informazioni sbagliate con l’effetto di arroventare il clima politico e lo scontro tra governo e opposizione. Chi lo conosce bene è persuaso che il tutto rientri in una strategia studiata a tavolino dal sindaco piddino di Bologna e strettamente connessa al voto di domenica e lunedì prossimi per eleggere il nuovo presidente della Regione.
Tre anni fa Lepore vinse con il 62% dei consensi, forte di una tradizione rossa che la città ha tradito solo una volta, un’era fa, nel 1999, votando Giorgio Guazzaloca, indipendente di centrodestra.
Fatto sta che nel suo triennio a Palazzo d’Accursio, il sindaco si è impegnato nel contrariare i propri concittadini, con un mix di sciatteria, ideologia d’accatto e scelte sbagliate. Il risultato temuto ora dal primo cittadino è che le imminenti Regionali diventino una sorta di test negativo del suo operato. Lo spauracchio è che la sinistra possa calare sotto le Due Torri- finché stanno ancora in piedi entrambe malgrado la mancanza di cura del Comune - anche di quattro cinque punti, un risultato che aprirebbe il processo interno al sindaco, nella miglior tradizione dem, che nel feudo rosso è più viva che mai. Ecco che allora, per limitare il passo indietro, Lepore ha deciso di affidarsi alla solita strategia della sinistra: andare al corpo a corpo, insultare l’avversario, accusarlo di fascismo e inscenare una chiamata alle armi in difesa della democrazia. Una scelta che il candidato dem alla presidenza, Michele De Pascale, non condivide; ma quando si lotta per la sopravvivenza, possono subire strappi anche le regole di scuderia.
TRA BUGIE E DELIRI
Si spiegano così le dichiarazioni deliranti e le piccole bugie del primo cittadino in merito alla manifestazione di CasaPound, forza di destra anti-governativa, tenutasi a Bologna sabato e che ha originato scontri tra attivisti di estrema sinistra e la polizia, intenta a impedire che gli autonomi aggredissero il corteo e conclusasi con tre agenti finiti all’ospedale. «Il governo ci ha mandato trecento camicie nere. C’è un verbale che attesta che il Comitato di Ordine e Sicurezza aveva chiesto di spostare la manifestazione dal centro» ha ripetuto ossessivamente Lepore per due giorni, rimediando la smentita del ministero dell’Interno e della Questura.
In realtà, nulla di tutto questo: la manifestazione era stata annunciata da due mesi ed era contro il degrado cittadino, specie nei dintorni della stazione, dove si sono verificati ripetuti episodi di violenza. Il comitato ha chiesto alla questura di cercare una mediazione che portasse a «una modifica del luogo di svolgimento del corteo, che dovrebbe avvenire fuori dal centro storico». La soluzione proposta dal sindaco era Piazza della Pace, oltre lo stadio, verso il cimitero, zona che nulla ha a che fare con le motivazioni della protesta. CasaPound ha rifiutato ma la Questura è riuscita comunque a mediare. Il corteo non si è svolto nel centro storico, il percorso è stato pressoché dimezzato e, diversamente da quanto asseriscono il sindaco e il Pd, si è fermato duecento metri prima di Piazza XX Settembre, non arrivando quindi fino alla stazione, cosa che la sinistra avrebbe ritenuto un oltraggio alle vittime della «strage neofascista del 2 agosto 1980».
Attenzione però, la disinformatia sovietica di Lepore non è solo strategia, è più di una seconda pelle, un elemento del dna. Basti pensare che il sindaco ha giustificato la presenza sabato della sua vice, Emily Clancy, tra i violenti dei centri sociali che hanno aggredito la polizia, sostenendo di avercela mandata lui per controllare la situazione e sedare gli animi. Il centrodestra sostiene invece che la signora fosse più banalmente tra gli amici di una vita.
In fondo, il legame tra amministrazione cittadina e centri sociali con tendenze manesche non è una novità. È ancora viva la polemica di quando il sindaco concesse uno spazio pubblico ai ragazzacci del Làbas, quelli che hanno celebrato tra lazzi e frizzi la dipartita di Silvio Berlusconi. E pur di fare un favore al mondo antagonista, che sarebbe una passione soprattutto della consorte, Lepore ha rischiato perfino di compromettere i rapporti con Unipol, il potere rosso in città. Il sindaco pare che abbia sensibilizzato il colosso per lasciare che uno dei tanti centri sociali a lui vicini si insediasse in un immobile in disuso appartenente alla società. Quando questa ha poi richiesto indietro per ragioni sanitarie, ha tentato di opporsi allo sgombero fino ad arrivare a una sorta di scontro tra potentati cittadini, nel quale naturalmente ha avuto la peggio.
È a suo modo naïf, il 44enne Matteo, come quando diede il via libera al taglio di alcuni alberi nel parco Don Bosco, funzionale al rifacimento di una scuola.
Bastò un drappello di radical chic che si mise a costruire casette sugli alberi per farlo recedere, dicendo che aveva cambiato idea. Tanto gli allievi non erano figli dei novelli baroni rampanti trasferitisi sulle piante.
CURRICULUM DEGLI ORRORI
Poi ci sono le cose meno facete. Il disastro dell’alluvione, per esempio. Il sindaco ha scoperto una parte del fiume Reno che era stata tombata 75 anni fa dal primo amministratore comunista della città, senza peraltro provvedere a pulire l’alveo né a mettere in sicurezza i cantieri aperti per il nuovo tram. Il risultato è stato la città sott’acqua per la prima volta nel Dopoguerra. Bologna peraltro è tutto un “lavori in corso”, perché Lepore ha fatto il pieno di progetti finanziati dal Pnrr, ma deve chiuderli entro il 2026. Il traffico è paralizzato, al punto che uno dei maggiori problemi successivi all’alluvione è stato far arrivare il materiale per tornare alla vita normale. Un flop è stato anche il limite dei trenta all’ora alle automobili. Nessuno lo rispetta, ma per far vedere che c’è i vigili ogni giorno multano un paio di sventurati.
Per questi, e tanti altri motivi, il sindaco è in discussione e lancia l’allarme camicie nere; quando molti dei suoi elettori risolverebbero il tutto mettendolgi una camicia di forza.
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