Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/11/2024, a pag. 10 con il titolo "L'antisemitismo troppo spesso sottovalutato prospera nelle sinistre d'Europa", il commento di Marco Patricelli.
Marco Patricelli
Se in Olanda è scattata la caccia all’ebreo e in Italia si è inneggiato al macellaio Yahya Sinwar, siamo di fronte alla manifestazione di un orrore e di un errore: il primo si deve combattere prima che degeneri oltre l’intollerabile, il secondo si deve correggere prima che diventi prassi tollerata. Che qualcosa sia stato sbagliato nella narrazione del passato e del presente è evidente, perché simili fenomeni prosperano non solo sul cieco ideologismo ma anche sull’ignoranza.
Il mondo civile, e non solo quello dei salotti in cui tutti sono buoni bravi e giusti, si deve interrogare sulle ferite culturali che hanno mandato in suppurazione quelle sociali con le tinte tenebrose della cronaca nera.
Una legge ha imposto il “Giorno della memoria”, come momento obbligato di riflessione sulla capacità dell’uomo di negare il diritto a esistere a un altro uomo. Non solo Shoah, ma soprattutto Shoah, perché il mostro nazista partorì lo sterminio industriale di un intero popolo, di categorie, di minoranze. Già allora non ci furono solo i volenterosi carnefici che aiutarono ad alimentare i forni di Auschwitz-Birkenau e dell’arcipelago concentrazionario del Terzo Reich, ma ci furono anche coloro che applaudirono e sollecitarono di più e peggio, come il gran Muftì di Gerusalemme, che da islamico radicale a Hitler chiedeva di cancellare gli ebrei dalla faccia della terra.
A scuola non se ne parla quasi mai, e neppure delle SS musulmane, come non si portano alla luce le radici velenose dell’odio; la scuola troppo spesso si limita a celebrare il 27 gennaio, giorno della liberazione di Auschwitz, e qualche volta a portare i ragazzi in gita d’istruzione nel lager simbolo dell’olocausto. Non basta, ce lo dice la cronaca, e non serve celebrare una messa cantata in cui parole e contenuti attraversano i due emisferi celebrali il più delle volte senza lasciare traccia.
L’antisemitismo, mascherato da antisionismo con una differenziazione di lana caprina autogiustificativa, è fermentato in un brodo di coltura sgrassato dalle scorie di posizionamento della seconda guerra mondiale, rivelandosi paradossalmente con una inquietante deriva a sinistra, per cui Israele è assimilata al Terzo Reich, la lotta per la sopravvivenza per sopraffazione, il diritto alla difesa come arbitrio muscolare nei confronti di innocenti. La distorsione dei fatti operata in malafede risucchia la buona fede di chi è indotto a vedere nella kefiah un simbolo di libertà e nei terroristi palestinesi i nuovi partigiani, soprattutto da parte dei post-partigiani generazionali di casa nostra, che di storia non conoscono neppure la loro, figurarsi quella mediorientale.
Inneggiare a Sinwar è lo stesso che lodare il medico SS Mengele per gli studi sui gemelli, o esaltare la finezza scientifica del professor Clauberg per il suo test ginecologico, o plaudire al rigore del giudice Roland Fresler nell’applicare il diritto nazista: erano solo criminali, col camice medico e con la toga, ma criminali. Oppure, rovesciando la prospettiva in senso di politicamente corretto, lodare sir Arthur Harris per aver incenerito Amburgo e Dresda con i suoi bombardamenti a tappeto sulla Germania, per i quali nessuno si commosse né manifestò, facendo ricadere indistintamente sui tedeschi le colpe del regime hitleriano.
L’Europa imbolsita nel suo torpore culturale, ingessata negli schemi di un burocratismo impersonale e rintronata dal disco rotto dei diritti a pioggia, già una volta mancò l’occasione di dare di sé stessa quello che dalla storia non si può cancellare: le radici giudaico-cristiane. Le ripudiò nel nome dell’estremismo laico e illuministico e di un utopistico abbraccio universalista, e fallì nell’affermare la propria identità, passata invece dall’epica di respingere gli arabi a Poitiers nel 732, dalla Reconquista spagnola lunga sette secoli, dalla cacciata dalla Sicilia dopo l’anno Mille, dalle epocali battaglie di Lepanto del 1571 e di Vienna del 1683 quando i polacchi di Jan Sobieski impedirono che gli ottomani islamizzassero l’Europa cristiana. Più di mille anni, la metà dell’era cristiana, a difendere un senso, una cultura, un modo di concepire la vita, i rapporti interpersonali, la conquista faticosa e sanguinosa dei diritti, la sfera religiosa. Una civiltà, insomma, capace di barbarie inaudite ma comunque civiltà dal Baltico al Mediterraneo. Per poi vedere, agli sgoccioli dell’anno di grazia 2024, l’assalto belluino e compiaciuto agli ebrei ad Amsterdam che rinovellava un pogrom antisemita, da parte di un’orda di giovani ai quali a Milano è stato riservato un applauso di approvazione e glorificazione, mentre veniva esposta l’immaginetta beatificata dell’artefice del massacro del 7 ottobre 2023. Su un camion di trasporti della ditta Abdul in bella mostra.
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