Riprendiamo da LIBERO di oggi 10/11/2024, a pag. 1/8, con il titolo "L'ultima follia degli eurolirici: fare la guerra a Trump", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Sbagliare è umano, perseverare è eurolirico. Dopo annidi forsennate verticalizzazioni in capo a Bruxelles, a cui sono seguiti per un verso evidenti insuccessi nella gestione centralizzata di qualunque dossier (crisi economico-finanziarie, Grecia, immigrazione, pandemia, guerre), e per altro verso un netto e crescente dissenso anti-Ue da parte dell’opinione pubblica dei singoli paesi europei, i migliori cervelli euroentusiasti ancora insistono: «Ci vuole più Europa», ripetono come una giaculatoria. «Ma non ha funzionato», obiettano gli osservatori rimasti minimamente lucidi. «Ah sì?
Non ha funzionato? E allora datecene ancora di più», è la surreale conclusione eurolirica. E siccome la follia non accenna a diminuire in intensità, adesso, dopo il risultato delle elezioni Usa, non solo si insiste con questo assurdo mantra, ma lo si carica addirittura di una valenza ostile nei confronti di Donald Trump. «Ci vuole un anti-Trump», dicono e scrivono in luoghi sospettabili e insospettabili: e intendono che da Bruxelles bisognerebbe avviare una strategia di contrapposizione preventiva - politica e commerciale - verso la nuova amministrazione americana.
TAFAZZISMO
Ecco dunque la sofisticata strategia per spararci da soli sui piedi (e scrivo piedi: ma potrebbero risultare irreversibilmente danneggiati anche altri organi a metà strada, diciamo...): un paralitico incapace di muoversi e inchiodato a letto, com’è l’attuale Ue, dovrebbe improvvisamente appendersi al lampadario con un balzo e giocare a fare Tarzan per scatenare una crociata contro un Presidente potentissimo e appena stravotato.
E dovremmo farlo senza e contro il consenso dei cittadini europei, i quali ormai non sanno più cosa fare per far capire che non ne possono più delle ricette pro-Ue (non basta vedere in Germania l’AfD al 30%?).
Di più: sempre andando contromano rispetto alla volontà popolare, occorrerebbe - secondo i soliti “esperti” - conferire ulteriori poteria Bruxelles, imboccare definitivamente la strada del Super-Stato, lasciare che sia Bruxelles a decidere mega-piani di spesa ultradirigisti (dopo il Pnrr, il Green Deal e chissà cos’altro), magari attribuire a Bruxelles anche la facoltà di imporre tasse europee (svuotando definitivamente governi e parlamenti nazionali), e comunque nel frattempo incentivare la possibilità europea di attingere a risorse private («canalizzare il risparmio privato», dicono per indorare la pillola o la supposta, a seconda dei casi) sempre per finanziare i mega-piani.
I nostri strateghi eurolirici devono essere completamente impazziti. Forse nemmeno se ne rendono conto, ma disegnano uno scenario che rischia di portare a una specie di guerra civile strisciante: crescita economica ai minimi, disoccupazione di massa, desertificazione industriale (con l’automotive che è già a pezzi), immigrazione e islamizzazione ai massimi, ed elettori sempre più inevitabilmente in cerca di risposte all’insegna della protesta estrema.
Ecco, in questo scenario da incubo, la classe politico-burocratica bruxellese (non investita da alcun consenso popolare diretto) dovrebbe sussumere ulteriori poteri e attribuirsi il voto a maggioranza per mettere in condizione di non nuocere i governi eventualmente dissenzienti e politicamente sgraditi, e poi andare alla guerra contro il cattivo Trump.
Guidati da chi, peraltro?
Dai sistemi che stanno collassando in modo spettacolare, e cioè Francia e Germania. Che userebbero ancora una volta gli altri paesi come scudi umani, salvo poi - al momento opportuno - proporsi loro come “mediatori” con Washington.
Solo qualcuno più pazzo di loro, tra Roma e Milano, potrebbe anche soltanto prendere in considerazione un suicidio del genere.
Semmai, Giorgia Meloni e il governo italiano faranno bene (e ci proveranno, ne siamo convinti) a sfruttare un’occasione più unica che rara. Anzi, una doppia occasione: per un verso, quella di raggiungere soddisfacenti intese bilaterali dirette tra Usa e Italia (paese definito da Trump “best friend” nei suoi contatti post-elettorali, da quanto risulta a Libero); per altro verso, quella di fare di Palazzo Chigi il luogo-chiave del dialogo tra Europa e Usa. Non l’Eliseo, per capirci, né i palazzi della politica tedesca. È proprio Giorgia Meloni, per il consenso di cui gode il suo governo e in quanto “ponte” politico in Ue tra partiti tradizionali e partiti anti-sistema, che può proporsi come protagonista di un nuovo dialogo transatlantico.
All’insegna della collaborazione, non certo della contrapposizione.
L’INSEGNAMENTO
Quanto al futuro dell’Ue, chi scrive è da tempo convinto che si debba recuperare (facendone l’alfa e l’omega di qualunque “riforma” europea) il discorso profetico che Margaret Thatcher tenne a Bruges il 20 settembre del 1988: disegnava un’Europa altamente desiderabile (niente Super-Stato, per capirci), destinata a fare poche cose insieme, a rispettare di più le sovranità e le differenze nazionali, a concepire la propria difesa dentro la Nato (e non altrove), ad allargare gli spazi di mercato e di competizione in una prospettiva di crescita. Senza pretese di integrazione politica eccessiva, e meno che mai di uno scettro del comando affidato a “tecnici” o burocrati senza volto. Aveva ragione lei, che molti leader attuali li avrebbe volentieri presi a borsettate.
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