Riprendiamo dal BET Magazine, nel numero di novembre, a pagina 14, l'intervista di Nathan Greppi a Vladislav Inozemtsev dal titolo "La stella e l’orso: Israele e la Russia, un freddo rapporto".
Nathan Greppi
Prima del 7 ottobre, Israele aveva interesse a mantenere un rapporto disteso con la Russia, affinché questa le permettesse, in un sottile gioco delle parti, di lanciare attacchi aerei contro Hezbollah in Siria senza intervenire. Questo è anche il motivo per cui, dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, il governo israeliano ha adottato posizioni molto più tiepide nei confronti della Russia rispetto ad altri paesi occidentali. Ma dopo il 7 ottobre, il governo di Vladimir Putin si è dimostrato fin da subito assai critico nei confronti dell’operazione militare israeliana contro Hamas.
Per comprendere cosa sta succedendo nelle relazioni tra Gerusalemme e Mosca, abbiamo parlato con l’economista e politologo russo Vladislav Inozemtsev, già docente presso l’Università statale di Mosca, attualmente consigliere speciale per il Russian Media Studies Project del MEMRI (Middle East Media Research Institute). I suoi editoriali sono usciti su varie testate internazionali (Washington Post, Huffington Post, The Independent, Financial Times, The Moscow Times, Foreign Affairs, Israel Hayom) e italiane (La Repubblica, Il Sole 24Ore). In occasione delle elezioni presidenziali russe del 2012, ha scritto il programma del candidato indipendente Mikhail Prokhorov, arrivato terzo.
In un suo articolo apparso nell’ottobre 2023 sul sito del MEMRI, afferma che Putin ha tratto beneficio dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. Può spiegarci in quali termini?
Putin è convinto che tutto ciò che destabilizza le potenze occidentali giochi a favore della Russia. La sua ideologia si basa su un gioco a somma zero, per cui tutto ciò che fa male all’Occidente fa bene a lui. Un’idea che può sembrare superficiale, ma è ciò che gli hanno insegnato quando era un agente del KGB. Ed è ciò che ha guidato la sua visione del mondo per tutta la vita.
È in virtù di questa visione che ha sostenuto diversi movimenti terroristici, organizzazioni criminali e regimi autoritari in tutto il mondo, in quanto nemici dell’Occidente. Questa è la ragione per cui sostiene il regime di Assad in Siria. Le sue truppe destabilizzano l’Africa per spingere fuori dal continente i francesi e gli americani. Ed è anche il motivo della sua salda cooperazione militare con l’Iran, al quale giusto recentemente ha inviato numerosi elicotteri e aerei da combattimento.
Anche il suo rapporto con Hamas presenta molti precedenti storici. L’Unione Sovietica sosteneva già a suo tempo l’OLP contro Israele, rifornendo di armi anche la Siria e l’Egitto. La politica sovietica fu a lungo antisraeliana, non tanto per via dell’antisemitismo, quanto perché la loro ideologia dipingeva Israele come un paese imperialista.
Un altro motivo è che Putin spera che il Medio Oriente sprofondi in una guerra su vasta scala, essendo l’economia russa assai dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas naturale. Pertanto, Putin pensa che qualsiasi evento possa far salire il prezzo del petrolio a livello globale lo metterebbe in una posizione di vantaggio.
Infine, Putin spera di riuscire a destabilizzare l’Europa; pur non essendo affatto antisemita, vorrebbe soffiare sul fuoco dell’antisemitismo degli immigrati arabi per creare disordini in Europa che, sul fronte opposto, susciterebbero delle reazioni da parte dei partiti di estrema destra, portando a delle faide interne ai paesi europei.
Tra le vittime di Hamas il 7 ottobre vi erano anche dei cittadini russi, e in Israele vivono più di un milione di russi. Quale impatto esercitano questi fattori sull’approccio di Putin in merito al conflitto in corso?
Non esercitano nessun impatto. Per Putin, il popolo non vale niente. È solo un dittatore che ha ereditato la mentalità sovietica secondo la quale la gente non conta nulla di fronte al potere dello Stato. Lo vediamo anche nelle sue reazioni all’invasione di Kursk da parte delle truppe ucraine. Ha detto molte cose contro gli ucraini, ma non si è mai recato dagli sfollati russi della regione per portare loro la sua solidarietà.
Anche le vite dei russi che ha mandato a combattere in Ucraina, per Putin non hanno alcun valore. Per lui, i russi emigrati in Israele sono solo dei traditori con una doppia identità che hanno lasciato la madrepatria, niente di più. Non gli importa nulla di loro.
Nel marzo 2022, in un suo editoriale apparso sul “Sole 24Ore” ha scritto che l’autocrazia di Putin si ispira più all’Italia fascista che alla Germania nazista. Secondo quali criteri ritiene che questo paragone sia valido?
La differenza tra i regimi di Mussolini e Hitler è che il nazismo era molto più repressivo e antisemita del fascismo italiano. Lo Stato fascista era fondato su un’economia di stampo corporativista e sul desiderio di restaurare la grandezza di un passato idealizzato.
Da questo punto di vista, Putin è indubbiamente un fascista, avendo lui nazionalizzato buona parte dell’economia russa. Anche se esistono grandi compagnie private di proprietà degli oligarchi, questi ultimi di fatto sono solo dei prestanome, mentre chi guida davvero queste aziende sono Putin e i suoi amici più stretti. Allo stesso tempo, vi è una crescente militarizzazione della società russa, immersa nel culto della grandezza del passato, così come Mussolini pretendeva di restaurare la grandezza dell’Impero Romano.
Ciò che invece distingue Putin da Hitler è il fatto che per il secondo sarebbe stato inconcepibile avere un esercito composto da militari di origini non “ariane”, mentre la Russia è una nazione multietnica. Putin non si è fatto problemi a mandare popolazioni asiatiche quali i tuvani, gli jacuti e i buriati ad uccidere gli ucraini, nonostante questi siano slavi come lui.
A fine ottobre 2023, molti musulmani della regione del Daghestan hanno messo in atto una vera e propria caccia all’ebreo all’aeroporto di Makhachkala. Quali sono le differenze tra i cittadini russi di fede musulmana e la maggioranza cristiana del paese?
Nell’ultimo quarto di secolo Putin ha fatto del cristianesimo ortodosso uno dei pilastri del suo potere, tanto da aver speso miliardi di rubli per finanziare in vari modi la Chiesa Ortodossa. Per quanto riguarda invece i musulmani, che in Russia sono circa 16 milioni e il 10% di tutta la popolazione, il discorso è diverso; ad esempio, Putin ha cercato di fare della Cecenia un esempio di quanto la Federazione Russa possa essere variegata e multietnica. Per questo, lascia fare al leader ceceno Ramzan Kadyrov essenzialmente quello che vuole, anche quando questi impone regole e leggi contrarie alla Costituzione russa. Che sia davvero praticante o meno, Kadyrov sfrutta il fattore religioso per consolidare il suo potere.
C’è anche da considerare il fatto che nell’ultimo periodo Putin ha fatto entrare in Russia numerosi immigrati musulmani provenienti soprattutto dall’Asia centrale, i quali producono gran parte del PIL in un periodo in cui molti russi hanno lasciato il paese. Questi immigrati presentano spesso forti convinzioni religiose, e Putin deve garantire loro la libertà di culto anche perché senza di loro l’economia russa finirebbe per collassare.
Quello che è successo nel Daghestan è stato orchestrato da gente del posto, senza alcun coinvolgimento da parte del governo. Molte di queste persone (musulmani radicalizzati) sono state processate e condannate, ma per aver attaccato degli ebrei hanno preso pene molto meno severe di quelle che avrebbero ricevuto se i bersagli fossero stati cristiani o musulmani.
Perché questo doppio standard? E come viene vista la comunità ebraica in Russia?
Agli ebrei che vivono in Russia (circa 145.000 persone, secondo gli ultimi censimenti) non viene riconosciuta per ragioni demografiche la stessa importanza di altri gruppi religiosi. Per questo, non ricevono la giusta protezione da parte delle autorità.
Che impatto ha avuto, sulla guerra in Ucraina, l’occupazione da parte delle truppe di Kiev della regione di Kursk? E quale peso potrebbe esercitare nel lungo periodo?
A mio parere, è stata un’operazione molto coraggiosa, che ha cambiato le sorti della guerra. Se in Ucraina, stando ad alcuni miei conoscenti che ci vivono, in molti sono scettici su questa mossa e si chiedono perché Zelensky l’abbia compiuta, in Russia invece le conseguenze sono state significative.
Oggi, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, vi è una popolazione sfollata all’interno della Russia. In anni recenti, erano già arrivati in Russia numerosi rifugiati di madrelingua russa dal Donbass; ma adesso, con gli sfollati provenienti da Kursk, gli abitanti delle regioni confinanti cominciano a preoccuparsi e a chiedersi cosa succederà in futuro.
Guardando invece alle elezioni americane di novembre, come potrebbero cambiare le relazioni tra gli USA e la Russia qualora dovesse vincere Donald Trump? E cosa cambierà se, invece, dovesse vincere Kamala Harris?
Al momento le relazioni russo-americane sono ad un punto molto basso, e ritengo che resteranno tali a prescindere da chi vincerà. Se vincerà la Harris, non ci saranno cambiamenti radicali, e gli Stati Uniti continueranno a sostenere l’Ucraina. Se invece vincerà Trump, il cambiamento sarà maggiore, perché lui ha promesso ai suoi elettori di porre fine alla guerra. Ma un armistizio senza condizioni, dividendo l’Ucraina in due come la Corea, non farà che rafforzare la Russia. Perché finché Putin sarà al potere, nessun armistizio potrà durare.
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