Mauro Zanon
«Il processo delle fatwa», lo ha definito la scrittrice Émilie Fèche, dei piccoli ayatollah che hanno condannato a morte un insegnante di Storia e Geografia devoto al suo lavoro, un ussaro della République reo di aver mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo su Maometto. Si è aperto ieri a Parigi, dinanzi alla Corte d’assise speciale, il processo degli otto adulti che hanno azionato la macchina infernale che il 16 ottobre 2020 ha portato alla decapitazione di Samuel Paty da parte di un diciottenne jihadista di origini cecene, Abdoullakh Anzorov. Durerà fino al 20 dicembre, e sarà integralmente registrato, sette settimane durante le quali i giudici dovranno determinare la responsabilità degli otto imputati nell’ingranaggio islamista che ha spinto Anzorov a «vendicare il profeta», come scrisse su Twitter il giorno dell’attacco. Sono tre i gruppi di imputati. Nel primo c’è Brahim Chnina, il padre dell’alunna all’origine della menzogna che ha scatenato la galassia islamista.
«Incredibile ma vero e vi riguarda tutti.
Il professore di Storia di mia figlia ha chiesto a tutti gli studenti musulmani di alzare la mano. Poi ha detto loro di uscire dalla classe perché avrebbe mostrato un’immagine che li avrebbe scioccati. Alcuni sono usciti, altri si sono rifiutati, tra cui mia figlia. In seguito il professore ha diffuso l’immagine di una persona nuda e ha detto agli studenti che era il profeta dei musulmani (...). Se non siete d’accordo con quanto accaduto, potete scrivere una lettera alla preside per cacciare questo pazzo», scrisse Chnina su Facebook nell’ottobre 2020, aizzando la rappresaglia contro Paty. Peccato che sua figlia si fosse data malata il giorno in cui il professore tenne il famoso corso sulla libertà «Situation de dilemme: être ou ne pas être Charlie. Une définition de la liberté», e si fosse dunque inventata tutto. Assieme a Chnina, tra i principali fomentatori del clima di odio contro Paty, c’è Abdelhakim Sefrioui, islamista di origini marocchine schedato “S”, la lettera con cui i servizi segreti etichettano gli individui considerati potenzialmente pericolosi per la sicurezza dello Stato.
ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Secondo i giudici istruttori, Chnina e Sefrioui hanno partecipato a una «associazione a delinquere con finalità di terrorismo» per aver «prodotto e distribuito» dei video che hanno suscitato «sentimenti di odio» nei confronti dell’insegnante. I magistrati ritengono inoltre che il loro attivismo sui social network sia stato portato avanti con piena consapevolezza del «contesto ideologico e criminale» di quel periodo e abbia contribuito a designare Paty «come un obiettivo». Insomma, a mettere un mirino dietro la sua schiena.
C’è poi il secondo gruppo di imputati, gli amici virtuali del terrorista, di Snapchat. Ismail Gamaev, ceceno come Anzorov, Yusuf Cinar, nato a Evreux ma di origini turche, Louqmane Ingar, originario di Saint-Denis de La Réunion, e soprattutto Priscilla Mangel, colei che avrebbe “convinto” Anzorov a passare all’atto. Madre di famiglia convertita all’islam, tra il 9 e il 13 ottobre 2020, ossia tre giorni prima dell’assassinio, Priscilla aveva scambiato 46 messaggi con Anzorov.
I BASISTI
Ci sono infine gli amici di Evreux, la città in cui il jihadista risiedeva: Azim Epsirkhanov, 19 anni all’epoca dei fatti, nato in Russia e anch’egli di origini cecene, e Naim Boudaoud, allora 18enne. Entrambi sono sospettati di aver aiutato Anzorov a procurarsi le armi, coltelli e pistole ad aria compressa, per portare a termine il suo piano omicida: in quanto tali, sono perseguiti per «complicità in omicidio a carattere terroristico» e rischiano l’ergastolo. «Ho bisogno di sapere. Cosa avevano in testa gli accusati? Cos’avevano previsto?
Cosa speravano di fare?», ha detto a BfmTv Charlie Jacquin, professore di educazione fisica ed ex collega di Paty, chiedendo giustizia, che venga a galla tutta la verità di quei dieci giorni che hanno segnato un prima e un dopo nella scuola francese. È quello che chiede anche la famiglia dell’insegnante: «Una risposta all’altezza della gravità del crimine». Proprio ieri, il quotidiano La Croix ha raccolto la testimonianza di un altro professore di Storia e Geografia francese, costretto ad abbandonare la sua scuola a fine 2023 per minacce di morte. «Finirai come Paty», gli avevano detto alcuni alunni. Passa anche dalla sentenza dei giudici sul caso Paty il sussulto della République dinanzi all’islamismo.
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