Zelensky, il rebus USA, i timori dell’Ucraina
Analisi di Anna Zafesova
Testata: La Stampa
Data: 04/11/2024
Pagina: 25
Autore: Anna Zafesova
Titolo: Zelensky, il rebus Usa e i timori dell'Ucraina

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/11/2024, a pag. 25, l'analisi di Anna Zafesova dal titolo "Zelensky, il rebus Usa e i timori dell'Ucraina".

ad Alessandria con Anna Zafesova ...
Anna Zafesova

Per Zelensky le elezioni americane sono fondamentali per la sopravvivenza del suo paese. E le prospettive non sono affatto positive. Se vince Trump (che non nomina) ha già annunciato la sua volontà di fare un accordo pur-che-sia con la Russia per porre fine alla guerra. Ma anche se dovesse vincere la Harris, continuerebbe la politica degli aiuti col contagocce, come quella finora seguita da Biden che sta facendo perdere la guerra all'Ucraina.

«Conteremo su noi stessi, sull'unità europea e sull'opinione pubblica americana»: secondo Volodymyr Zelensky, sarà questo lo scenario peggiore per il suo Paese, nel caso della vittoria alle elezioni americane «di qualcuno che vuole accordi e affari rapidi». L'allusione a Colui-che-non-deve-essere-nominato è chiara, come la paura che suscita, non soltanto in Ucraina: del resto, già un mese fa il premier polacco Donald Tusk diceva, rispetto al dibattito sull'aumento degli aiuti a Kyiv, che «tutti stanno aspettando l'esito delle elezioni americane». E se l'arrivo alla Casa Bianca di Kamala Harris non promette grandi sconvolgimenti rispetto alla linea di Joe Biden, da Donald Trump ci si aspetta che l'alleanza con l'Ucraina sarà uno dei primi grandi ribaltamenti che vorrà imprimere alla politica estera americana. A dire il vero, le idee finora espresse da Trump sulla guerra della Russia contro l'Ucraina – a parte la promessa di «farla finire in 24 ore» – non sono state molto chiare. Il candidato alla vicepresidenza JD Vance ha reso noto una proposta di piano di pace che sostanzialmente vorrebbe consegnare alla Russia i territori ucraini già occupati in cambio di una tregua, e gli ex consiglieri di Trump Keith Kellogg e Fred Fleitz hanno pubblicato la loro proposta di "congelamento" del conflitto lungo la linea del fronte, ottenuta facendo pressioni su Zelensky e Putin perché si mettano al tavolo delle trattative (il primo verrebbe incentivato dalla minaccia di togliergli gli aiuti militari, il secondo dalla promessa di aumentare l'invio di armi in Ucraina).

Quanto questi progetti siano stati fatti propri dal candidato repubblicano non è dato sapere, e non è detto che la loro implementazione otterrà il consenso dei diretti interessati. Il presidente ucraino ha tracciato le sue linee rosse: «Trump non riuscirà a constringerci a cedere i nostri territori». E la politologa russa Tatyana Stanovaya, spesso indicata come la maggior "putinologa" di Mosca, dubita che l'oggetto dei suoi studi si accontenti: «Putin non vuole i territori, vuole l'Ucraina». L'Ucraina della quale «a Trump non importa un bel niente», dice al Kyiv Independent Michael McFaul, ex ambasciatore americano a Mosca e uno degli strateghi della diplomazia dei democratici. A giudicare anche dalle ultime dichiarazioni del candidato repubblicano – come quella che «le città ucraine sono ormai distrutte» e «Putin ha già vinto» – Trump si basa non tanto sui fatti, quanto sulle proprie percezioni, e antipatie. Già nel 2019 aveva rischiato l'impeachment dopo la telefonata in cui minacciava a togliere al neoeletto Zelensky gli aiuti militari se non avesse incriminato Hunter Biden per i suoi affari a Kyiv. Zelensky aveva rifiutato, la telefonata era filtrata nei media per diventare lo scandalo dell'Ukrainegate, e per Trump l'Ucraina è diventata una roccaforte dei democratici, e il suo presidente «il miglior venditore della storia». Resta la domanda su cosa farebbe un Trump non più candidato, ma presidente, e quanto i vincoli del diritto internazionale, degli impegni con gli alleati e del buonsenso riuscirebbero a frenarlo. È dall'inizio dell'anno, dopo che i trumpiani hanno bloccato per mesi gli aiuti all'Ucraina al Congresso, che l'amministrazione Biden, i governi europei e la Nato stanno costruendo una rete di accordi, finanziamenti e impegni per rendere Kyiv il più possibile autonoma rispetto ai terremoti alla Casa Bianca. Il politologo putiniano Sergey Markov spera che Trump telefonerà a Putin «già il 7 novembre».

Ma anche se eletto, il repubblicano non potrà bloccare tutto, e subito, mentre corteggerà il Cremlino. Secondo il Washington Post, anche Zelensky però forse non perde la speranza di portare Trump dalla sua parte: «Sono entrambi politici che non vengono dalla politica, e entrambi amano le soluzioni semplici», rivela una fonte anonima del governo di Kyiv, dove peraltro aumenta la delusione per il decisionismo insufficiente di Biden. Anche al Cremlino cercano soluzioni semplici, anche se stavolta le illusioni nei confronti di The Donald a Mosca siano meno diffuse, e perfino il dittatore russo pubblicamente dichiara di preferire Kamala Harris. Il problema è che in questa guerra di semplice non c'è nulla, a cominciare dal fatto che il diritto internazionale moderno non prevede il passaggio di territori occupati al Paese aggressore. McFaul nota che un blocco degli aiuti all'Ucraina non farebbe che incentivare Putin a nuove conquiste. Anche perché il Cremlino ha costruito tutta la sua ideologia sull'antiamericanismo, e il ritorno a una guerra più fredda rischierebbe di metterlo in crisi. Nel caso di una vittoria di Trump, come già accaduto nel 2016, la soluzione più probabile è che si torni allo scontro frontale con Putin, dopo – profetizza Stanovaya – «una serie di incontri che porterebbero inevitabilmente in un vicolo cieco». 

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