Trump, è già panico
Editoriale di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 04/11/2024
Pagina: 1/3
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Trump, è già panico

Riprendiamo da LIBERO di oggi 04/11/2024, a pag. 1/3, con il titolo "Trump, è già panico", l'editoriale di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Trump può vincere le elezioni americane. Ed è già panico nella sinistra. Commentatori, analisti, osservatori, non solo esprimono la loro preferenza per Kamala Harris, ma si dicono preoccupati per la democrazia americana se dovesse vincere Trump. 

La sinistra è già nel panico. È impressionante la naturalezza con cui politici, commentatori e analisti senza fare un plissé - ci comunicano, alla vigilia delle elezioni presidenziali americane, non solo la loro legittima preferenza verso la candidata democratica Kamala Harris, ma una specie di cupa preoccupazione per la democrazia in caso di esito opposto, cioè nell’ipotesi di un’eventuale vittoria di Donald Trump.
E così il discorso assume una connotazione schizofrenica oltre che una piega irresistibilmente comica. Se a vincere è la candidata “gradita”, allora vuol dire che la democrazia funziona perfettamente, che il sistema mostra di possedere gli anticorpi contro tutti i virus, che il popolo è saggio. Se invece a prevalere fosse il candidato “sgradito”, la democrazia mostrerebbe la sua fragilità, la stessa architettura istituzionale Usa si rivelerebbe inadeguata, e il popolo non c’è neanche bisogno di dirlo una massa di “deplorables”, anzi direttamente “garbage”, cioè immondizia.
Se volete farvi due risate, seguite su X il profilo di Alan Friedman. Nelle pause delle sue non fortunatissime gare di ballo, ci comunica i suoi sbalzi di umore, con un repentino transito da una luminosa fiducia nell’umanità a un tetro clima da de profundis. C’è un sondaggio buono per Kamala? E allora “c’è un po’ di speranza per l’America e per il mondo”, oppure “sarebbe meraviglioso se l’America tornasse ad amare la democrazia”. Che invece- intuiamo- sarebbe calpestata con gli scarponi chiodati se gli elettori premiassero Trump. E infatti, quando è in vantaggio lui, “siamo al crepuscolo del secolo americano”.
Stessa musica da parte del direttore della Stampa Andrea Malaguti: «All’improvviso la democrazia mette paura». Ah sì?
Quindi è l’esito del voto a dirci se il metodo democratico è benedetto o invece maledetto?
Ma il clima di intimidazione è tale che ormai in Italia non c’è grande firma che, anche solo per permettersi il lusso di qualche critica ai dem, non debba premettere che lui voterebbe per Kamala o comunque che Trump gli fa orrore. Solo dopo questa premessa - un autentico lasciapassare per essere ammessi in società - si può forse iniziare a ragionare.
Qualcuno potrebbe obiettare contro questa nostra ricostruzione: ma anche Trump è un tipaccio, e non è certo una mammoletta nelle sue polemiche, nelle sue invettive, nei suoi strali. Verissimo: siamo molto lontani da un tono reaganiano o anche solo dal proverbiale “sole in tasca” berlusconiano.
Chiunque assista a un comizio di Trump torna a casa “ready to fight”, pronto alla battaglia, se non proprio alla guerra. E però attenzione: le bordate di Trump - di buon gusto o meno che siano - sono rivolte agli avversari, alla cupola mediatica avversa, alla macchina dem, non agli elettori di opinione differente. Mentre è sempre più istintiva e incontrollabile la propensione dei democratici (e quindi della parte che si autoproclama “buona e giusta”) a prendere di mira la mezza America che “vota male”, cioè i votanti repubblicani, la gente comune non di sinistra, il popolo non progressista. Pensare di unire un Paese su queste basi non mi pare difficile: è semplicemente impensabile.
Senza trascurare un ultimo elemento, che non a caso è stato completamente cancellato, obliterato, messo tra parentesi: per una volta e mezzo (se non due) c’è un candidato a queste elezioni che è stato oggetto di attentati, di chiari tentativi di omicidio.
E quello stesso candidato, dall’estate in poi, quando ha partecipato a eventi all’aperto, ha dovuto farlo “in cattività”, imprigionato in un gabbione di vetro blindato.
Quel candidato era - anzi: è Donald Trump. Anche qui, la naturalezza con cui si è accettato il fatto che il contendente “cattivo” e “sgradito” potesse essere eliminato dice tutto sul clima in cui siamo immersi. Se sei fuori dall’area del pensiero “accettato”, sei ridotto al rango di non-persona. Di soggetto eliminabile moralmente o anche fisicamente. C’è poco da stare tranquilli anche qui da noi, se l’aria che tira è questa.

 

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