Riprendiamo da BET Magazine di novembre 2024, a pagina 1, il commento della direttrice Fiona Diwan.
Fiona Diwan
Cara lettrice, caro lettore, le opere del pittore olandese Vincent
Van Gogh ci hanno abituato a guardare al colore giallo in modo diverso, giallo come colore della follia e della mancanza, del danno
e dell’incompletezza, giallo come l’assenza di ciò che manca quando si fa intollerabile. Giallo come il colore degli ostaggi rinchiusi nei sotterranei, giallo come l’ossessione e la paura, giallo come quest’anno ebraico che si è appena chiuso alle nostre spalle. Giallo come il mondo del caos, il Tohu vaVohu, il giallo abissale dei biblici Gog e Magog, giallo infine come l’Olam haAfuch, il mondo sconvolto e rovesciato, sottosopra e all’incontrario, come ci suggerisce l’antica Qabbalah, un concetto millenario - l’Olam haAfuch -, elaborato da un pensiero mistico, per indicare le epoche buie e nefaste della storia ebraica.
Una tonalità che ben si addice ai nostri mesi passati, notti popolate da incubi, ore passate a svegliarsi di soprassalto, albe fangose e giallognole, giornate livide, scolorite, pomeriggi a cercare l’aria, un inconscio sovraccarico di memorie risvegliate che pesano come macigni.
Tuttavia, a un anno dal sabato nero del Neghev, Israele e il mondo
ebraico stanno imparando a guardare in faccia il trauma e a riannodare i fili di un’unità smarrita. Una coesione interna non certo facile eppure possibile, se persino il mondo arabo sembra essere scosso da sussulti di dissenso via via più forti ed espliciti (vedi storia di copertina). Non più impauriti e paralizzati. Un mondo ebraico - diasporico e israeliano -, che sa nuovamente di poter contare su un’energia di resilienza spontanea; e su un senso di comunità più intimo e consapevole. Una via da seguire.
Consentitemi ora un piccolo salto di carreggiata. Mi è capitato sotto gli occhi, giorni fa, un vecchio articolo conservato in una scatola: la data è il 6 luglio 1982, la testata è La Repubblica, la firma quella di Rosellina Balbi, il titolo – divenuto leggendario - era Davide discolpati. Questo articolo ha fatto storia, e prendere in mano quel pezzo di carta, rileggerlo oggi, risulta sconvolgente (lo abbiamo ripubblicato sul nostro sito Mosaico e invito tutti a rileggerlo). Nulla sembra cambiato da allora.
Era la guerra del Libano e fu la stessa indignazione selettiva verso
Israele, lo stesso invito a non esagerare con risposte sproporzionate,
lo stesso uso della parola genocidio - naturalmente ad opera di Israele -, lo stesso doppiopesismo, lo stesso pregiudizio viscerale e la pretesa ipocrita che Israele “porga l’altra guancia” visto che gli ebrei hanno tanto sofferto in passato, l’identica divisione manichea tra oppressi e oppressori, buoni e cattivi.... L’articolo potrebbe essere stato scritto ieri e non avrebbe una sola ruga. E allora, che dire? Immutabilità del destino ebraico? Corsi e ricorsi della storia umana? No, troppo facile.
Piuttosto, non è la guerra ideologica e millenaria contro gli ebrei che si basa su un’antica ossessione cristiana per il “peccato” ebraico, una ossessione oggi condivisa anche con il mondo islamista? “Per trasformare Israele nel criminale tra le nazioni è necessario amplificare i crimini di Israele – reali, esagerati o del tutto inventati – ignorando quelli dei suoi nemici. Richiede la cancellazione dell’umanità degli israeliani – come strappare i manifesti degli ostaggi di Gaza o oscurare i loro volti... La fonte più profonda dell’animosità anti-israeliana è la simbolizzazione dell’ebreo come incarnazione del male. L’ebreo satanico è stato sostituito dallo stato ebraico satanico”, scrive Yossi Klein Halevy su The Times of Israel a proposito della fine dell’era Post-Shoah. Anche allora, nel
1982, Israele e il mondo ebraico sperimentarono il disinganno e il
precipizio nel mondo del caos, l’Olam haAfuch del Tohu, il mondo
capovolto e al rovescio, l’incredulità sbigottita davanti ai distinguo e
ai “sì, ma...”, la condanna, la falsa equivalenza tra terroristi e IDF, il
disordine morale della politica occidentale. Spuntò quel maledetto
giallo, il colore della perdita e della follia davanti alla bara gettata fuori dal tempio di Roma, ai detriti della bomba esplosa nell’ottobre 1982.
Ma ieri come oggi, ecco tornare un’energia di resilienza spontanea,
un senso di comunità e appartenenza più intimo, consapevole. La via da seguire, appunto.
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