Riprendiamo da LIBERO di oggi, 30/10/2024, a pag. 17 con il titolo "Il nuovo Nasrallah ha paura di morire", l'analisi di Andrea Morigi.
Andrea Morigi
Dicono che Naim Qassem, nominato ieri segretario generale di Hezbollah, abbia assunto una carica temporanea. Glielo ha promesso il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, pubblicando una foto del religioso sciita sul suo account X con una didascalia eloquente: «Il conto alla rovescia è iniziato». Nella prospettiva soprannaturale, il neocapo dei terroristi libanesi aveva già ampiamente messo in conto una morte violenta. È il punto centrale del suo programma politico, esposto in un’opera: Hizbullah. The Story from Within, tradotta dall’arabo all’inglese nel 2005.
LE TAVOLE DELLA MORTE
I comandamenti si riassumono in tre. Primo: credere nell’islam, per costruire uno Stato che applichi i dettami coranici; secondo: jihad, comprensivo del martirio; terzo: instaurare la sharia nella vita pubblica e privata, sul modello iraniano inaugurato dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, nell’obbedienza all’al-Wali al-Faqih, cioè alla Guida Suprema della Rivoluzione, che regna a Teheran. Del resto è lui, cioè Ali Khamenei, ad averlo scelto direttamente, scavalcando la Shura, cioè il consiglio direttivo di Hezbollah.
Ma «l’essenza - che sprigiona dall’impegno religioso - consiste nel lanciarsi verso il martirio e non fuggirlo», scriveva Qassem una ventina d’anni fa, fiducioso sull’efficacia strategica degli shahid, che immolandosi avrebbero contribuito al ritiro di Israele dal Paese dei Cedri nel 1985. Più che nelle risoluzioni dell’Onu e nelle armi della diplomazia, insomma, il Partito di Dio confidava nella tecnica dell’autobomba, capace di riequilibrare il rapporto di forze militare con «l’occupante». Poi, l’8 ottobre scorso, sotto la pioggia di fuoco israeliano che stava polverizzando le basi militari dei terroristi filoiraniani nel Sud del Libano e a Beirut, si era giocato addirittura la carta del cessate il fuoco, per proteggere a suo dire la popolazione civile innocente. Strano, perché per decenni era stato proprio lui a garantire la salvezza e la felicità eterna a coloro che morivano smembrati sulla via di Allah.
Facile a dirsi, magari per incitare giovani aderenti al movimento a sacrificare la loro vita facendosi macellare per la causa palestinese. Quando si è trattato di mettere in pratica la dottrina, però, l’ideologo ed eterno numero due di Hassan Nasrallah, è rimasto nell’ombra. Consigliava, teorizzava, proponeva, ma sempre senza rischiare troppo. Non aveva nemmeno uno straccio di cercapersone trappolato, perché magari di lui si poteva anche fare a meno. Ora che è venuto anche il suo momento, più che altro per mancanza di candidati successivamente alla decapitazione a raffica dei vertici di Hezbollah, si verificherà la consistenza dei suoi propositi, la concretezza del suo coraggio, la volontà reale di versare il sangue.
Glieli ricorda incessantemente il turbante bianco dal quale non si separa mai, un sudario avvolto intorno alla testa come “memento mori”. È il telo funebre nel quale sarà avvolto il suo cadavere e se lo porta dietro, anzi sulla sommità del capo, per averlo sempre presente.
UNA PISTOLA PUNTATA
Si armerà, come fece un mese fa, dopo la disintegrazione di Nasrallah, di fazzolettini, per asciugarsi il sudore sotto quell’ingombrante copricapo, dirà che ha ormai 71 anni, sei figli e una schiera di nipoti che non reggerebbero emotivamente alla perdita del nonno? Gli avevano appena proposto di diventarne il successore e pareva avesse declinato con orrore l’offerta, chiedendo di andare in pensione pur di salvare la pelle. Cosa gli abbiano detto nel frattempo, per convincerlo ad accettare, non è noto. Ma tanto, se a eliminarlo non ci pensano prima gli aerei con la Stella di David, Qassem ha una pistola puntata alla testa e il grilletto lo può far scattare in qualsiasi momento l’alleato-padrone iraniano.
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