Riprendiamo da LIBERO di oggi, 29/10/2024, a pag. 24, l'intervista di Costanza Cavalli a Fiamma Nirenstein dal titolo "L'Occidente israelofobico è un impazzimento".
Sabato Fiamma Nirenstein si è svegliata alle 2:30 di notte. Israele l’aveva annunciato e dopo quasi un mese dal bombardamento iraniano del 1° ottobre- quei duecento missili che volevano vendicare la morte di Nasrallah ha colpito infrastrutture energetiche e militari del regime di Teheran. «Si sentivano gli F15...», dice la giornalista e scrittrice fiorentina che da anni vive a Gerusalemme, «abbiamo visto tutto in televisione, l’attacco è stato trasmesso in diretta». Tornare a Roma? «Ma per carità!». Non capisco. E infatti mi spiega: «Oggi è giorno di lutto nazionale. La radio trasmette le storie dei tanti ragazzi dell’esercito che sono caduti per liberare gli ostaggi e per difenderci da coloro che vogliono la distruzione di Israele. Vivo in una comoda casa di Gerusalemme, non sono al fronte, ma condivido questa difficilissima e durissima guerra, una delle tante che il popolo ebraico ha combattuto nel corso dei secoli». E questo conflitto è di più: «Ci armiamo e moriamo per la democrazia e la libertà. Siamo l’argine dell’Occidente alle dittature e all’integralismo islamico».
L’Italia, inoltre, è irriconoscibile: i giornali macinano menzogne, i servizi in tv traboccano di follia antisemita, le università sono impregnate di ignoranza, a immagine dell’intero mondo accademico occidentale. È un Paese dissanguato di pensiero, «in preda a una convulsione culturale, intellettuale, etica.
Una degenerazione piena di paura, illusione, codardia» – analizza Nirenstein – «Stiamo dando mano libera a movimenti violenti che odiano la nostra società» e che hanno trasformato «l’unica democrazia del Medio Oriente in uno Stato canaglia».
«L’esistenza ebraica vale il prezzo che esige?», si chiedeva il filosofo Abraham Heschel dopo la Shoah. Nel suo La guerra antisemita contro l’Occidente, scritto insieme con Nicoletta Tiliacos (Giubilei Regnani editore, pp. 202, 18 euro), la giornalista prova a rispondere, ripercorre la storia dal 1948 agli accordi di Oslo del 1993 e al vertice di Camp David del 2000 fino ai Patti di Abramo e al 7 ottobre.
L’occupazione?
«Non è illegale perché non è un’occupazione. Gli accordi di Oslo sanciscono una scelta, non un obbligo, ad accordarsi, e con una trattativa, non con una decisione pregressa, per il dominio palestinese e del West Bank».
La soluzione due Stati per due popoli?
«Ridicolo, una soluzione per Gaza basata su uno Stato palestinese non conterrebbe nessuna premessa di pace. È uno slogan nato sotto la pressione dell’attacco terrorista».
Il nuovo antisemitismo internazionale post-nazista?
«In Europa nasce ai tempi dello stalinismo. L’antisemitismo fu inizialmente religioso, poi razzista (“mosca cocchiera del nazismo e di questa guerra di dominio”), diretto ora contro Israele: è diventato israelofobia e tutti gli oppressi odiano Israele perché oppressore, imperialista, capitalista e razzista».
Da qui l’impazzimento dell’Occidente, che crede in una sharia arcobaleno, inclusiva, indifferente alle donne stuprate e uccise il 7 ottobre, a quelle afghane, curde, iraniane, e dove i gruppi Lgbtq+, Black Lives Matter, le organizzazioni femministe intersezionali tifano per Hamas e occultano le bambine sposate a dodici anni e i gay impiccati alle gru. Lo scriveva Papa Benedetto XVI, riferendosi a Gerusalemme come prima radice dell’Europa: esiste «un odio di sé dell’Occidente che è strano e che può essere considerato solo come qualcosa di patologico; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro».
Lo ripete Nirenstein, che parla di “tempi di autodafé”. Il romanzo Autodafé di Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura nel 1981, si conclude con un rogo di libri: era il 1935, sullo sfondo c’erano i roghi del Terzo Reich e infatti il volume venne bandito dal regime.
E oggi?
«Vengono censurati Shakespeare, Omero, Dante... Che differenza c’è?».
Perché giornalisti, intellettuali, registi, musicisti ebrei non fanno che prendere le distanze da Israele?
«È una tradizione molto consolidata: trasformano la paura e il desiderio di essere accettati, e quindi in fondo anche di non essere ebrei, in critiche. Rinnegare Israele è ciò che consente di essere invitati a cena».
Oppure si giustificano “Amo Israele, ma quello che sta facendo Netanyahu...
” «Si tratta di un primo ministro regolarmente eletto e che consente manifestazioni che in qualunque altro Stato al mondo sarebbero represse. Lo si accusa di avere due ministri religiosi e di essere afflitto da un messianismo che lo spingerebbe chissà dove: è stato trasformato in un Dreyfus».
Che cosa cambierà con il/la prossimo/a presidente degli Stati Uniti?
«Kamala Harris ha detto che a Gaza sta avvenendo un genocidio. Non è vero, ha sbagliato e ha voluto conquistare una fetta di elettorato che ci odia.
Trump ha portato l’ambasciata a Gerusalemme ed è stato un gesto decisivo. Come disse Churchill, Gerusalemme di chi altro può essere se non degli ebrei?».
Che cosa aspettarsi dall’Italia?
«Vorrei che una delegazione di intellettuali e di giornalisti ci venisse a trovare, come ha fatto Douglas Murray. Dovrebbero farlo tutti coloro che hanno a cuore la verità».
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@liberoquotidiano.it