Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/10/2024, a pag. 1/I, l'analisi di Nona Mikhelidze dal titolo: "Il sostegno a Kyiv".
Sono passati due anni e mezzo dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la strategia degli Stati Uniti per porre fine alla guerra è rimasta ferma: gli americani forniscono all’Ucraina un sostegno sufficiente per resistere all’aggressione russa e rendere stabili i fronti di guerra, ma non è abbastanza per riprendere i territori occupati. Allo stesso tempo, gli americani hanno cercato di imporre alla Russia costi tali da impedire al presidente russo, Vladimir Putin, di avanzare ulteriormente oltre i territori conquistati, in modo da costringerlo, infine, a fermare il conflitto. Washington ha cercato in sostanza un delicato equilibrio: sostenere l’Ucraina e punire la Russia, evitando un’escalation che potrebbe andare fuori controllo.
Sebbene questa strategia possa sembrare razionale, si basa su un presupposto fondamentalmente sbagliato: la possibilità di influenzare il processo decisionale di Putin. Di conseguenza, la guerra di conquista della Russia si è trasformata in una guerra prolungata di logoramento. Nonostante gli occidentali abbiano sempre sperato di sedersi a un tavolo di negoziato, il conflitto si è trascinato fino al 2024 senza alcun segno di un suo ridimensionamento nel 2025. In realtà, sembra proprio il contrario: le forze armate russe hanno mantenuto un ritmo costante nelle loro operazioni, pur senza aver ottenuto svolte decisive, sostenute da un’industria della difesa sempre più attiva. La Corea del nord ha inviato truppe in aiuto del Cremlino e Washington è stata costretta a imporre le prime sanzioni alle aziende cinesi che forniscono armi alla Russia per la guerra in Ucraina.
Nel frattempo, mentre l’esercito russo continua con la sua offensiva, la capacità di resistenza dell’Ucraina rimane intatta. Il sostegno militare occidentale, pur essendo fondamentale, è stato spesso ritardato, limitato e gravato da restrizioni eccessive. Eppure, nonostante questi ritardi e queste costrizioni, l’Ucraina ha dimostrato una notevole capacità di resistenza sul campo di battaglia quando ha ricevuto risorse adeguate. La recente offensiva nella regione russa Kursk, per esempio, è una chiara testimonianza di questa forza. Ma pure senza questa operazione, l’Ucraina ha dimostrato con costanza e in moltissime occasioni la sua capacità di resistere alla invasione brutale della Russia. All’inizio l’esercito ucraino era considerato inferiore in termini di armi e di mezzi, ma ha reagito con intelligenza e ferocia. Contrariamente a quel che si temeva sulla possibilità che gli ucraini si disunissero, i civili si sono compattati in difesa della loro patria. L’Ucraina ha anche ripreso il controllo del Mar Nero, cosa che consente l’esportazione di grano senza che sia necessario un accordo con la Russia. Più di recente, sfidando previsioni meste, l’Ucraina ha respinto la tanto sbandierata offensiva russa di primavera a Kharkiv, quando i titoli dei giornali proclamavano: “Kyiv in ginocchio”.
Allo stesso tempo, l’esercito russo ha perso oltre 600 mila soldati uccisi e feriti dall’inizio dell'invasione dell’Ucraina, e settembre è stato il mese più sanguinoso per le forze russe, secondo il New York Times, che ha citato i dati del Pentagono. In un nuovo documento intitolato “Assessing Russian Military Adaptation in 2023”, lo studioso del Carnegie Michael Kofman sottolinea che, sebbene le forze armate russe abbiano dimostrato una certa capacità di adattamento, hanno faticato a recuperare una capacità di offensiva su larga scala. Di conseguenza, l’approccio russo ha prodotto soltanto guadagni incrementali sul campo di battaglia, senza riuscire a ottenere progressi significativi dal punto di vista strategicomilitare.
Oltre ai limitati successi militari sul campo, il Cremlino ha dovuto affrontare anche alcuni problemi per tenere a galla l’economia russa in mezzo alle sanzioni occidentali. Tali sanzioni hanno limitato le leve economiche del paese, portando a tassi di interesse elevati (21 per cento) e a un indebolimento del rublo. Gli analisti notano che, oltre alle perdite militari e all’esodo di persone in fuga dalla leva, la Russia sta affrontando anche una “crisi demografica”. L’economia è stata ulteriormente indebolita dal calo dei proventi del petrolio e del gas – la produzione di Gazprom è scesa al livello più basso della sua storia – e dalla persistente carenza di pezzi di ricambio e strumenti di produzione occidentale.
Tuttavia, come gli aiuti militari occidentali all’Ucraina sono stati poco incisivi, volti soltanto a prevenire l’avanzata russa senza consentire la liberazione dei territori occupati, così l’attuazione delle sanzioni contro la Russia è stata altrettanto poco incisiva. Queste misure sono state concepite per limitare la produzione bellica della Russia, ma non per far crollare completamente la sua economia. Di conseguenza, le sanzioni non hanno fermato la guerra, ma si sono limitate a porre qualche sfida alla stabilità economica della Russia.
Attualmente la Russia destina circa il 40 per cento del suo bilancio ai servizi militari e di sicurezza, il che indica che Putin prende sul serio la prospettiva di una sconfitta. Si è impegnato in prima persona per raggiungere i suoi obiettivi, considerando probabilmente giustificati i costi, sia economici sia umani. Le sue recenti decisioni, in particolare l’aumento significativo della produzione di armi nel bilancio della difesa 2025-2027, in cui la Russia prevede di spendere più del 6 per cento del suo pil per la guerra, rendono chiaro che si sta preparando a un conflitto prolungato.
Tuttavia, Putin si è astenuto dal dichiarare una mobilitazione generale, affidandosi invece a soldati a contratto: una decisione che difficilmente riflette una lotta esistenziale per la Russia. Infatti, mentre Putin inquadra la guerra come vitale per la sopravvivenza della Russia, è il suo futuro politico che è veramente in gioco. Un ritiro dall’Ucraina non minaccerebbe l’esistenza dello stato russo, ma potrebbe minare il suo potere. Come ha dimostrato l’ammutinamento di Evgeni Prigozhin l’anno scorso, le battute d’arresto militari in Ucraina potrebbero scatenare disordini interni, rendendo la guerra esistenziale per il regime di Putin.
Per questo l’impegno di Putin nella guerra in Ucraina è incrollabile. Ha rinunciato ad alcune opportunità di dimostrare una volontà di negoziare, anche durante i sei mesi dall’ottobre 2023 all’aprile 2024, quando il sostegno militare degli Stati Uniti all’Ucraina era bloccato e Kyiv stava lottando per resistere agli attacchi russi. Per Putin, impedire all’Ucraina di evolversi in una democrazia di tipo occidentale integrata nelle strutture euro- atlantiche è un obiettivo fondamentale. In questo momento il presidente russo ritiene che la Russia stia vincendo e continua a perseguire la sottomissione dell’Ucraina. Le ambizioni del Cremlino vanno ben oltre il semplice rovesciamento del governo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Il suo obiettivo è quello di estinguere completamente l’indipendenza dell’Ucraina o, come minimo, di annettere ampie parti del paese controllando ciò che resta di uno stato sovrano.
I tentativi di placare o costringere Putin ad abbandonare questo obiettivo sono futili, sprecano vite e risorse. Allo stesso modo, sperare in una frammentazione interna alla Russia è sbagliato. Uno scenario simile è improbabile finché la Russia rimarrà finanziariamente stabile (grazie una applicazione incoerente delle sanzioni da parte dell’occidente), manterrà un vantaggio militare sull’Ucraina ed eserciterà uno stretto controllo interno. Il regime sta diventando sempre più falco, con le élite sempre più allineate all’agenda bellica del Cremlino, mentre la società in generale sembra non voler o non poter esercitare pressioni per un cambiamento.
Quindi, Putin non si ritirerà dall’Ucraina, non ridimensionerà i suoi obiettivi e non cederà. Continuerà a rifiutare di impegnarsi con Zelensky su qualsiasi iniziativa di pace, respingendo tutte le proposte attuali, dal piano di Trump a quello della Cina. E non è interessato a un conflitto congelato. Sarebbe un disastro sul piano interno. Solleverebbe domande scomode sul costo economico della guerra e se il costo di un conflitto così sanguinoso valga il risultato: una disputa irrisolta e congelata.
Tenendo presente questo contesto, l’occidente deve riconoscere che la sua attuale politica del “finché serve” e della “gestione dell’escalation” in Ucraina difficilmente porterà a negoziati. La convinzione che le crescenti perdite umane, militari ed economiche costringeranno inevitabilmente la Russia a congelare il conflitto è errata. Questo ragionamento si basa su un’analisi razionale dei costi e dei benefici e non coglie la natura di questa guerra come un progetto profondamente personale di un solo uomo: Vladimir Putin. Per oltre due anni, lui ha portato avanti questa guerra in barba alla logica e alla ragione (occidentale), senza mostrare alcun segno di volersi fermare.
In prospettiva, ci sono solo due scenari possibili. Il primo è che l’occidente si assuma il rischio e abbandoni il suo approccio prudente alla “gestione dell’escalation”, fornendo all’Ucraina le risorse militari e finanziarie di cui ha bisogno per liberare i territori occupati e fermare l’avanzata della Russia. Ciò comporterebbe un impegno totale nei confronti del “piano della vittoria” del presidente Zelensky. Significherebbe anche trasferire all’Ucraina i beni russi congelati e applicare rigorosamente le sanzioni contro la Russia. Il secondo scenario è il mantenimento dello status quo, che porterebbe a un conflitto prolungato e sanguinoso. Questo percorso comporterebbe pesanti costi umani per l’Ucraina e significativi oneri economici per l’occidente, che sarebbe costretto a continuare a rafforzare le difese ucraine, a respingere l’avanzata russa e a sperare di riuscire infine a resistere più a lungo di Putin. Ma affidarsi alla speranza non è una strategia – e l’occidente ne ha bisogno, di una strategia, poiché in questa guerra non esiste una terza opzione. Deve scegliere tra intensificare il proprio sostegno per garantire all’Ucraina di liberare più territori occupati o affrontare la dura realtà di una guerra prolungata con conseguenze gravi e durature.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@ilfoglio.it