Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 29/10/2024 a pag. 14 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Il dolore di Israele per i caduti in Libano. Bibi: vittoria per la pace".
Fiamma Nirenstein
Il verde cimitero del Monte Herzl, dove sul fianco delle colline di Gerusalemme, sono sepolti tutti i primi ministri della storia ebraica a fianco di un numero esorbitante di soldati israeliani caduti dalla Guerra d’Indipendenza del 1948 e poi via via in tutte le guerre fino ad oggi, è troppo movimentato a ogni ora. Vanno, vengono folle di giovani e vecchi, in divisa e in blue jeans, che ogni quarto d’ora cambiano, e seguono le bare coperte con la bandiera trasportate verso la fila delle rispettive brigate sulle spalle di soldati che nascondono le lacrime sotto il portamento militare. Ci sono sempre tanti bambini nella folla, nipoti, figli, fratellini: la settimana scorsa 26 soldati sono stati uccisi in battaglia, avevano dai diciotto ai 55 anni, erano di leva o nelle riserve. I padri uccisi lasciano 56 orfani. Israele ogni giorno ascolta presto alla radio la lista dei caduti di cui è permesso fare il nome (“mutar le pirsum” dopo avere avvertito la famiglia) e scoppia in lacrime o si riassetta per un’altra giornata di guerra. E’ una roulette russa in cui prima o o poi perdi, Israele conta poco più di nove milioni di abitanti, dal 7 di ottobre a circa 14mila feriti e più di 1800 uccisi fra i soldati: per esempio ieri anche alla mia famiglia è toccato un doppio lutto, è stato ucciso il trentenne Gilad Eliamaliach guardiano della scuola del mio figlio piccolo, che lascia 5 bambini; ed è stato ucciso in azione con Avraham Yosef Goldberg, Avi per noi, maestro di Tanach di mio figlio: lascia dietro di se una famiglia che era un centro di cultura ebraica e di musica, in cui con la moglie Rachel, violinista e infermiera, suonava il clarinetto. Aveva otto figli, di cui il maggiore nel servizio militare. Dal sette di ottobre, volontariamente, è andato a combattere in Libano lasciando la casa di Gerusalemme e la scuola Himmelfarb dove insegnava. Amava i soldati di cui era comandante e rabbino, la sua brigata Alon. E anche molto tutti i ragazzi per cui era un insegnate unico ma aveva deciso di combattere per la sopravvivenza del popolo ebraico e così dal 7 ottobre ha fatto per 260 giorni.
Un suo messaggio a noi che ci preoccupavamo dice “Sono solo una piccola parte della mia unità, ma ne sono felice perché spero che questa volta la nostra vittoria porterà la pace per molto tempo. Ho scritto sui muri di diverse case del Libano: “Noi volevamo la pace, voi avete scelto la guerra “È tutto qui”. Uno a uno i soldati scomparsi, nei funerali che si sono protratti per giorni fino a notte tarda, appaiono nella memoria come personaggi non rimpiazzabili, unici. Un altro dello stesso gruppo, Eliav Amiram Abitbol, ha donato un rene a uno dei bambini cui offriva il suo volontariato. Tutta Israele è toccata uno a uno dalla scomparsa dei loro cari, o amici, delle straordinarie capacità, la loro assenza si somma a quella dei rapiti, e questo suscita discussione oltre che pena. È la matrice psicologica anche se non ancora politica del pacifismo che Israele nei decenni ha vissuto come una componente molto ingaggiata nella definizione della sua vita. Cedere invece di morire, è una grande tentazione anche se la storia ebraica insegna senza remissione che invece funziona al contrario. Nel 2000 la ritirata dal Libano, che disgraziatamente consentì poi agli hezbollah di nidificare in Libano coperti dall’Iran piazzando missili e gallerie al sud, nacque dal famoso movimento delle Quattro Madri che si basava proprio sull’angoscia creata dalla perdita delle vite dei figli, e che ebbe un apice nel disastro di un elicottero nel 1997. Nel 2000, dopo che il movimento aveva messo sottosopra Israele con una strategia di grandi dimostrazioni e di alleanze politiche, Ehud Barak ordinò il ritiro. Allora funzionò, e anche con Sharon quando decise il distacco da Gaza: ma oggi solo il 6 per cento degli Israeliani pensa che la guerra debba essere fermata per il suo grande costo in vite umane.
Netanyahu ieri nel suo discorso alla knesset ha spiegato due temi che sono molti legati in questa dimensione: quello dei soldati di leva e delle riserve che combattono da un anno ormai quella che lui chiama la sorpresa di una “guerra di rinascita” con determinazione leonina; e quello della strategia della guerra in corso, la sua novità assoluta nel puntare a ristabilire la deterrenza perduta puntando alla pace con la vittoria esemplificata dall’eliminazione di Nasrallah e Sinwar, l’identificazione definitiva dell’Iran con l’asse malefico che vuole dominare il Medio Oriente e distruggere la democrazia, e quindi della grande impresa salvifica che combattendo Israele compie. È una chiamata alla salvezza di Israele che convince la maggior parte della gente, anche quella che non può soffrire Netanyahu. Sembra che dopo il 7 di ottobre sia ormai parte della psicologia di Israele un motto: “Primum vivere”, e non contenendo il pericolo ma eliminandolo. Per questo Netanyahu ieri è tornato sul tema del pericolo atomico iraniano. Rischioso, ma necessario. Costa molto, ma vale la pena.
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