Riprendiamo da LIBERO di oggi, 28/10/2024, a pag. 8, con il titolo "L’Iran non può reggere il confronto con Israele" l'intervista di Daniel Mosseri a Jonathan Spyer.
Daniel Mosseri
La cronaca e la storia. La seconda ci insegna che la Repubblica islamica d’Iran ha fatto della distruzione d’Israele un obiettivo strategico, utile a mantenere viva un’economia di guerra e un forte apparato repressivo in casa, e a fomentare gli arabi sciiti (ma a volte anche i sunniti) contro le monarchie moderate del Golfo, che con Israele invece hanno rapporti che vanno dal civile al produttivo. La cronaca ci dice invece che ad aprile Teheran ha attaccato Israele per vendicare l’uccisione a Damasco di un comandante dei pasdaran, e a ottobre per vendicare l’eliminazione degli alleati più cari alla Guida suprema Ali Khamenei: il capo di Hamas Ismail Haniyeh e quello di Hezbollah Hassan Nasrallah. Una settimana fa Israele ha risposto con un’azione area diretta contro obiettivi militari in Iran. Da qui partiamo per intervistare Jonathan Spyer, direttore per la ricerca del Middle East Forum di Philadelphia ed esperto di Iran. Spyer vive in Israele.
Quanto attendibili sono le notizie sulla distruzione di siti di produzione militare in Iran da parte della Israel Air Force?
«Al di là di quanto rivendica Israele, le notizie dall’Iran, sia quelle che arrivano dai social media sia quelle che arrivano dai nostri contatti, parlano di danni molto gravi all’apparato di produzione militare».
Perché Israele ha colpito solo l’ovest dell’Iran?
«Come fatto attaccando il porto yemenita di Hodeida mesi fa, la Iaf ha dimostrato di saper rifornire i suoi jet in volo. Hanno colpito l’ovest non per un problema di distanza, ma perché è là che l’Iran tiene le armi che usa per attaccare Israele, che è ancora più a occidente».
Ci saranno altri attacchi?
«Non credo, sempre che l’Iran non risponda. Israele ha condotto un attacco grande abbastanza da ripristinare la deterrenza, senza tuttavia scatenare nuove ostilità su larga scala».
Perché l’Iran non si è difeso meglio, visto l’attacco annunciato?
«Perché in tema di guerra convenzionale, soprattutto aerea, non c’è confronto fra l’eccellenza di Israele e la capacità dell’Iran, un Paese del terzo mondo: l’aviazione militare e la difesa aerea dell’Iran sono molto scarse. Lo stesso vale per Hezbollah, milizia armatissima ma priva di difesa aerea. Il che non significa che l’Iran non sia un Paese forte, ma lo è limitatamente ad alcuni settori».
Quali?
«La capacità di mettere in piedi una rete di alleati e di usarla con successo a fini politici e militari. A chi in Israele festeggiava l’attacco sull’Iran, ricordo che poche ore dopo gli alleati dell’Iran uccidevano quattro soldati israeliani nel sud del Libano, due civili nella città araba israeliana di Majd al-Krum fino all’attentato con decine di feriti domenica a Herzliya».
Israele è più forte?
«Abbiamo visto che Israele è capace di colpire l’Iran nel suo territorio, ma abbiamo visto anche che questa capacità non è a oggi bastata per fermare la politica iraniana di colpire Israele tramite forze alleate: non dobbiamo trascurare il pericolo dell'Iran solo perché il Paese ha una difesa aerea debole».
Qual è la forza politica degli ayatollah?
«Il regime è certamente impopolare e le persone con cui parlo mi dicono che gode del supporto al massimo del 20% degli iraniani».
Perché allora non cade?
«Perché l’opposizione non ha né un leader né una struttura stabilite. Il regime, al contrario, è organizzatissimo. E perché l’indotto della “resistenza”, ossia armare i nemici, genera soldi. E al regime non importa se poi a Teheran la gente non trova il dentifricio».
Ma come resta in piedi?
«La risposta è: repressione. Così governa un regime ideologico e incompetente, incapace di gestire le risorse d’acqua degli iraniani o l’agricoltura».
Perché l’Arabia Saudita riallaccia con Teheran proprio mentre Israele colpisce i nemici di Riad come gli Huthi ed Hezbollah?
«Perché i sauditi scommettono su più tavoli: immagino che in privato Mohammed bin Salman (MbS, l’uomo forte del regno wahabita, ndr) apprezzi molto il lavoro che fa Israele, ma anche lui vede che Israele fa delle bellissime azioni pirotecniche che però non fanno cadere il regime iraniano né distruggono i suoi alleati».
Di cosa ha paura MbS?
«Della propria debolezza e di quella degli Usa che si sono fatti molto lontani: Trump si interessa poco o nulla della regione, mentre Biden e i democratici sono ostili a MbS dopo che ha fatto a pezzi Jamal Kashoggi. Non dimentichiamo poi che sono stati proprio gli Usa a esercitare pressioni sulle monarchie del Golfo affinché si riavvicinassero al Qatar: eppure il Qatar ha un agenda anti-Occidente. Così Mbs ha capito che degli Usa non c’è da fidarsi».
MbS è rimasto solo?
«Quando non ti sai difendere, è meglio essere un po’ amici di tutti che grandi amici di uno solo: ecco perché non abbraccia Netanyahu. E questo vale anche per gli Emirati, i migliori amici di Israele nella regione, che una settimana fa hanno pubblicamente condannato l’attacco israeliano sull’Iran».
Cosa se ne ricava?
«Che i Paesi del Golfo sono debolissimi, non riescono neppure a sconfiggere gli Huthi e vogliono dunque convivere con l’Iran, che temono».
E l’economia?
«La priorità dell’Arabia Saudita è lo sviluppo interno post-era del petrolio, il che porta MbS anche a guardare alla Cina: l’iniziativa Belt&Road passa proprio di qua».
L’Iran cosa c’entra?
«L’Iran fa parte di una coalizione di Paesi che si va ogni giorno rafforzando con un’agenda apertamente anti-occidentale. L’invio di militari nordcoreani in Russia è solo l’ultimo esempio di questa tendenza e altri ne dobbiamo aspettare in futuro: questo è il contesto globale, domani potrebbe diventare un conflitto».
Per cui?
«Per cui gli Usa, la cui amministrazione oggi non ha il dono di una visione chiara del Medio Oriente, sarà obbligata a tornare nella regione. Una regione che ha abbandonato anni fa per competere con la Cina nel sudest asiatico.
Ma oggi la Cina è in Medio Oriente: speriamo che gli Usa se ne rendano conto per tempo. Il passato lo insegna: durante la Seconda Guerra Mondiale l’asse nazifascista non fu combattuto solo in Europa; e oggi non è diverso».
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