La lezione di Israele alle sinistre illuminate
Commento di Carlo Nicolato
Testata: Libero
Data: 27/10/2024
Pagina: 15
Autore: Carlo Nicolato
Titolo: La lezione di Israele alle sinistre illuminate

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 27/10/2024, pag. 15, con il titolo "La lezione di Israele alle sinistre illuminate", l'analisi di Carlo Nicolato. 

Carlo Nicolato
Carlo Nicolato

Benjamin Netanyahu non sbaglia un colpo. Dato per finito dalle sinistre "illuminate" ora è leader indiscusso, criticato in patria solo da chi riteneva che dovesse colpire l'Iran in modo ancora più duro.

Un anno fa, di questi tempi, Benjamin Netanyahu era un uomo finito. Era il simbolo autoproclamato della sicurezza dello Stato di Israele che non era riuscito a garantire, quella di quasi 2mila concittadini inermi. Solo l’emergenza e la necessità di una reazione compatta di fronte alla minaccia aveva mantenuto in vita il suo governo.
Oggi Benjamin Netanyahu è molto di più del simbolo della sicurezza del suo Paese, è il leader indiscusso. Criticato in patria solo da quelli che avrebbero voluto che l’attacco all’Iran fosse più mortale colpendo obiettivi strategici ed economici. Criticato, è bene sottolinearlo, non dai soliti esponenti dell’estrema destra ma da Yair Lapid, il capo dell’opposizione per il quale fanno il tifo le sinistre illuminate di mezzo mondo. Quell’attacco invece è una dimostrazione di forza senza precedenti proprio perché non è andato oltre: non solo è il più grave sul suolo iraniano degli ultimi decenni, probabilmente dalla guerra con l’Iraq, ma soprattutto ha mostrato agli ayatollah e alle loro Guardie della Rivoluzione, milizie e soldati che siano, che cosa sarebbe in grado di fare l’Idf se solo Netanyahu volesse, se solo spostasse l’obiettivo da qualche mirato e limitato target militare a qualcosa di decisamente più importante.

L’OFFENSIVA DI BIBI

Israele ha attaccato l'Iran, a 1.600 chilometri di distanza, con decine di caccia, tra cui F15, F16, F35, aerei di salvataggio, aerei d'allarme, da rifornimento, da guerra elettronica.
Prima di lanciare gli attacchi i caccia israeliani hanno accecato i centri radar e sistemi di difesa aerea, sia in Siria e Iraq che in Iran, rendendo inutile qualsiasi tentativo di risposta. Un cyberattacco avrebbe contribuito a completare l’opera di preparazione, mettendo fuori uso il sistema tecnologico di protezione iraniana. Su questo non ci sono certezze perché Israele preferisce non diffondere dettagli, ma nei giorni scorsi l’Iran aveva già subito cyberattacchi che avevano messo a dura prova il funzionamento di siti energetici e nucleari, nonché di tutto il sistema dei trasporti, banche e dei palazzi governativi. Insomma nulla, nemmeno in questo caso, è stato lasciato al caso, segno che Israele si prepara da anni a una guerra contro Teheran e ha pianificato tutte le opzioni possibili di attacco e di difesa.
Una mossa attesa quella di Netanyahu, che non ha certo sorpreso l’Amministrazione democratica americana ma che molto probabilmente avrebbe preferito fosse portata a termine dopo le elezioni presidenziali onde scongiurare qualsiasi risposta iraniana e l’inevitabile escalation nella quale ci andrebbero di mezzo anche gli Stati Uniti.
E invece Netanyahu ha preferito fare di testa sua sapendo bene che più tempo passava più l’Iran avrebbe ingarbugliato la situazione, mettendo di mezzo la diplomazia araba, con la quale sta trattando da tempo, gli ostaggi, l’opinione pubblica e Paesi compiacenti. Una mossa da vero leader che è impossibile mettere in discussione, specie perché arriva sulle ali di una serie di successi che già avevano fatto capire che sui famosi “7 fronti” è arrivato il momento della resa dei conti a cui Israele si prepara minuziosamente da anni.
L’eliminazione sistematica di tutti i leader di Hamas e Hezbollah, e di qualche alto militare iraniano della terra di mezzo, non sono il risultato di una semplice furia da vendetta, bensì il frutto di una strategia precisa che in alcuni casi ha risvolti talmente fantasiosi che sono quasi inimmaginabili. Almeno lo sono stati per quelli di Hezbollah che hanno affidato la loro sicurezza a cercapersone e walkie talkie acquistati all’estero senza nemmeno sospettare che i servizi israeliani avevano pensato a tutto con largo anticipo, preparato accuratamente ogni dettaglio, messo le persone giuste al posto giusto.

PIAZZA PULITA

L’eliminazione di Hassan Nasrallah nel bunker, quella dei suoi possibili successori, e poi quella di Yahya Sinwar che ancora si nascondeva nei tunnel di Gaza facendosi scudo degli ostaggi hanno davvero mostrato al mondo che le parole che Netanyahu ripete spesso, che nessun nascondiglio è abbastanza segreto per i nemici di Israele, non sono uno slogan.
Tantomeno una smargiassata tipo quelle sparate da Teheran che aveva promesso di ridurre in cenere Tel Aviv se mai Israele avesse reagito al suo attacco del primo ottobre.
Stiamo ansiosamente aspettando, ma Teheran dovrebbe piuttosto far tesoro della lezione di ieri e rendersi conto che guai molto peggiori potrebbero arrivare. Dovrebbe ricordare piuttosto le profetiche parole dello stesso premier israeliano secondo cui l’Iran sarà molto presto un Paese libero.
Netanyahu insomma alla fine ha messo d’accordo tutti, a iniziare dal suo Paese dove destra e sinistra passando per il centro sono con lui (compreso il suo ex ministro della Difesa e principale rivale Binyamin Gantz che nei giorni scorsi in un articolo sul New York Times ha offerto il suo pieno supporto alle operazioni militari in Libano).
Ha spiazzato i suoi avversari interni ed esterni, e soprattutto ha messo a tacere, in senso definitivo, i suoi nemici. Ne restano ancora pochi, ma sono ampiamente avvisati.

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