Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 24/10/2024, a pag. 3, con il titolo "La strategia di Erdogan per dividere il movimento curdo", l'analisi di Mariano Giustino.
Alle 15.30 di ieri, durante il cambio di turno nello stabilimento della Turkish Aerospace Industries (Tusa), si è verificata un’esplosione presso il reparto principale dello stabilimento che ha causato quattro morti e quattordici feriti. Le autorità turche hanno subito parlato di terrorismo. Due aggressori, tra i quali una donna, armati di fucile, hanno dirottato un taxi e si sono avvicinati ai cancelli dell’azienda che impiega oltre quindicimila persone. Gli aggressori avrebbero ucciso il tassista, hanno fatto esplodere una bomba e si sono scontrati con la guardia di sicurezza presente sul posto. Uno degli attentatori è riuscito a entrare nello stabilimento mentre il personale si metteva al sicuro nei rifugi antiaerei, è andato nel dipartimento delle risorse umane e nell’accademia e ha preso in ostaggio undici dipendenti che sono stati poi subito liberati con un’operazione delle forze speciali durante la quale il terrorista è stato ucciso. L’attacco si è svolto mentre era in corso un’importante fiera commerciale dedicata all’industria aerospaziale e della difesa, a Istanbul.
Negli ultimi decenni la Turchia è stata presa di mira da numerosi gruppi armati, tra cui lo Stato islamico, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), formazione armata curda che si batte per l’autonomia del sud-est anatolico, il Partito del Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo turco (Dhkp-C), un’organizzazione di estrema sinistra rivoluzionaria e maoista che si è macchiata di gravissimi attentati con uccisioni di magistrati e sequestri di persona. Fino a sera, nessuna organizzazione aveva rivendicato l’attentato, ma ci sono degli indizi che conducono alla pista curda del Pkk.
L’attentato è avvenuto il giorno dopo le sorprendenti dichiarazioni di Devlet Bahçeli, alleato ultranazionalista di Erdogan ferocemente anticurdo, con le quali invitava l’ergastolano leader carismatico del Pkk, Abdullah Öcalan, a presentarsi in Parlamento per lanciare da quella tribuna un appello al movimento curdo esortandolo a deporre le armi, dichiarando la fine del terrorismo e lo scioglimento del partito armato: in questo modo avrebbe potuto beneficiare del “diritto alla speranza”, cioè del diritto per i condannati all’ergastolo di usufruire della libertà condizionale per buona condotta entro i termini stabiliti dalla legge. Secondo alcune fonti molto accreditate in Turchia, Öcalan avrebbe già stabilito contatti con i capi dell’organizzazione curda armata a Qandil, nel nord dell’Iraq. Sempre secondo queste fonti, ci sarebbe una spaccatura all’interno dell’organizzazione curda, tra chi riconosce ancora la leadership del fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan Öcalan e chi invece non gli riconosce più alcuna autorità, dal momento che è in prigione dal 1999 ed è visto come un traditore della causa disposto a svenderla a Erdogan per salvare la pelle.
Inoltre quella di Bahçeli è sembrata una dichiarazione strumentale perché nel frattempo Selahattin Demirtas, l’ex presidente del partito filocurdo Hdp e terzo partito più grande presente in Parlamento, che ha scelto da anni la via politica e che ha preso le distanze dal partito armato, rimane in prigione in attesa di giudizio dal 4 novembre del 2016 con l’accusa di “aver sostenuto il Pkk”, nonostante le sentenze perentorie della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che ne avevano chiesto l’immediata scarcerazione, ritenendo la sua reclusione motivata da ragioni politiche. Demirtas ha a lungo promosso la risoluzione pacifica della questione curda ritenendola una battaglia per la democrazia e per i diritti umani. Se il duo Bahçeli-Erdogan avesse reali intenzioni di porre fine alla questione curda, l’interlocu-tore principale dovrebbe essere il terzo partito maggiore del paese, che ha sempre sostenuto la via politica alla risoluzione pacifica del conflitto. Cercare di ottenere il sostegno di Öcalan escludendo il partito filocurdo e un leader come Demirtas fa parte di una strategia ben precisa: dividere il movimento curdo.
Secondo la Costituzione vigente, Erdogan non può candidarsi alle prossime presidenziali del 2028 e ha solo due opzioni per assicurarsi la presidenza a vita: cambiare la Carta o in Parlamento o con un referendum, ma la coalizione al potere formata da Akp e Mhp non ha numeri sufficienti per nessuna di queste due opzioni. Ciò significa che il presidente deve assicurarsi il sostegno di un altro partito politico, che ha una rappresentanza parlamentare consistente. Il maggior partito di opposizione, il Partito repubblicano del popolo (Chp), ha già chiarito di non essere interessato. L’altra formazione politica che ha i numeri è il Dem, il filocurdo Partito della democrazia e dell’uguaglianza dei popoli: per questo motivo si sarebbe aperta la strada a “colloqui esplorativi” per una nuova apertura curda con il leader del Pkk Öcalan.
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