Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 24/10/2024, a pag. 1/4, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo: "Sinwar e l’inutile Aia".
Giulio Meotti
A fine settembre, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha attaccato il procuratore della Corte penale dell’Aia perché questi aveva incontrato il presidente della Turchia e quello dell’Autorità nazionale palestinese. “Sotto la categoria ‘questo può accadere solo all’Onu’: il procuratore Karim Khan ha incontrato due campioni dei diritti umani: Erdogan, famoso per aver massacrato i curdi e incarcerato giornalisti, e Mahmoud Abbas, che nega la Shoah e paga i terroristi che uccidono gli ebrei”, ha detto Netanyahu. A maggio, il procuratore Khan aveva chiesto cinque mandati d’arresto.
Si trattava di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, Yahya Sinwar, Ismail Haniyehe Mohammed Deif: il premier e il ministro della Difesa di Israele, il capo di Hamas a Gaza e in esilio e quello delle brigate al Qassam a Gaza. A settembre, dopo che Haniyeh era stato ucciso a Teheran, Khan ha dovuto depennarne il nome dalla lista dei ricercati. Quanto a Deif, Khan aveva preferito aspettare ulteriori “verifiche” sulla sua morte. Poi Khan ha dovuto arrendersi all’evidenza. E anche Deif è stato depennato. Infine il terzo: Sinwar, eliminato da Israele a Rafah.
La morte del leader di Hamas ha lasciato nel dolore molti cosiddetti “moderati”, commenta il Wall Street Journal. Mahmoud Abbas ha offerto le condoglianze per il “martirio” di Sinwar, definendo la mente del massacro del 7 ottobre un “grande leader nazionale”. Anche il presidente turco Erdogan ha salutato Sinwar, mentre riceveva il ministro degli Esteri iraniano e i principali terroristi di Hamas per un incontro.
Ma il più colpito dalla morte di Sinwar è Khan, il procuratore della Corte penale dell’Aia. Per essere imparziale, Khan aveva chiesto i mandati di arresto per il trio di leader di Hamas insieme al primo ministro e al ministro della Difesa di Israele. Già di per sé l’equivalenza morale era agghiacciante, ma ora che tutti e tre i capi di Hamas sono stati uccisi, Israele ha tolto a Khan anche la sua foglia di fico.
Non c’è mai stata, infatti, alcuna possibilità che Sinwar venisse processato all’Aia o che venisse scoraggiato dalla prospettiva di finire alla sbarra come Milosevic e Karadzic. Khan invece sapeva che un’incriminazione da parte della Corte penale internazionale significava molto per una democrazia come Israele, ma zero per i terroristi. Quando Khan ha lanciato la sua minaccia, a maggio, l’obiettivo era di scoraggiare Israele dall’entrare nella roccaforte di Hamas a Rafah. Dopo che Israele è entrato, Khan ha fatto il suo annuncio per cercare di fermare i carri armati Merkava. E a Rafah, strano ma vero, Israele è entrato e c’era Sinwar, oltre agli ostaggi uccisi da Hamas. In un articolo pubblicato all’inizio da al Jazeera, l’ex funzionario delle Nazioni Unite Moncef Khane ha scritto che “la credibilità della Corte penale è appesa a un filo”. Khane si lamenta che “ci sono voluti non meno di sette mesi a Khan per raccomandare alla corte l’emissione di mandati di arresto per Netanyahu e Gallant, che se ora si sottraessero alle loro responsabilità, suonerebbero la campana a morto della Corte”.
Ma Netanyahu e Gallant sono ancora vivi. E nel fantastico mondo del diritto internazionale, Khan potrebbe anche decidere di continuare con la sua farsa. Forse questo era il suo piano fin dall’inizio.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@ilfoglio.it