Riprendiamo da LINKIESTA , con il titolo "I nordcoreani in Ucraina sono una minaccia che non possiamo tollerare", l'analisi di Gianni Vernetti.
Gianni Vernetti
La storia ha ripreso a correre velocemente e i fatti di questi giorni rischiano di produrre ciò che gli storici chiamano un “evento cesura”. La scorsa settimana, e quasi contemporaneamente, il capo dell’intelligence di Kyjiv, Kyrylo Budanov, e il National Intelligence Service (Nis) di Seoul hanno denunciato l’avvio del trasferimento di circa dodicimila forze speciali della Corea del Nord, pronte a essere inviate a combattere in Ucraina.
Le due agenzie di intelligence hanno svelato l’esistenza di diversi campi di formazione delle truppe di Pyongyang nell’estremo oriente siberiano. Le truppe di Kim Jong-un sono partite dalle basi militari nel nord del paese di Chongjin, Hamhung e Musudan per essere localizzate in Russia a Vladivostok, Ussuriysk, Khabarovsk e Blagoveshchensk. Qui è iniziato un rapido programma di formazione per integrare le reclute nordcoreane con le forze di Mosca: sono state fornite finte identità, uniformi e armamento russo, per farle passare come reggimenti buriati e yakuti, la cui etnia ha tratti fortemente asiatici, confondibili con quelli nordcoreani.
L’intensa cooperazione militare fra Corea del Nord e Russia non è una novità: fin dallo scorso mese di agosto, il regime di Pyongyang aveva già inviato lungo la ferrovia Transiberiana oltre tredicimila container di munizioni, otto milioni di munizioni di artiglieria e alcuni consiglieri nordcoreani erano già presenti sul fronte del Donetsk.
Il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol ha riunito il suo Consiglio di Sicurezza Nazionale ritenendo che «la diretta cooperazione militare tra Russia e Corea del Nord rappresenti una minaccia per la nostra sicurezza e per l’intera comunità internazionale».
È evidente come tale scelta produca, poi, un radicale cambiamento del conflitto nel cuore dell’Europa, alla luce di un sempre maggiore coinvolgimento di quell’Asse delle Autocrazie, che è già realtà. L’invio di truppe nordcoreane non è altro che un effetto collaterale di quella «alleanza senza limiti» annunciata da Vladimir Putin e Xi-Jinping pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio del 2022.
La Corea del Nord è uno stato vassallo di Pechino, incapace di prendere decisioni autonome, e totalmente dipendente dalla Repubblica Popolare Cinese, che alimenta e tiene in vita uno dei regimi più arretrati del pianeta: una casta guerriera di 1,28 milioni di soldati, una spesa militare che supera il cinquanta per cento del Pil, e un’economia totalmente asservita alle esigenze del “caro leader” e ai suoi sodali.
Con un Pil pro capite di cinquecentotrentotto dollari all’anno, di cui metà sequestrati dalla casta militare, il regime di Pyongyang non è soltanto un incubo totalitario, ma uno dei paesi più poveri del pianeta.
La Corea del Nord è stata usata storicamente da Pechino come un “cavallo pazzo” da mettere in libertà a seconda delle convenienze, rappresentando un utile strumento di destabilizzazione, tuttavia mai troppo pericoloso. Ora, però, l’invio di truppe nordcoreane in Europa rappresenta un salto di qualità che l’Occidente non può tollerare e che certifica l’interoperabilità delle peggiori dittature del pianeta.
Come ha giustamente rilevato ieri il presidente Volodymyr Zelensky: «[…] un altro Stato si sta unendo alla guerra contro l’Ucraina. […] Il mondo può rimanere in silenzio di fronte al fatto che ci saranno soldati nordcoreani in prima linea?».
La nuova fase “globalizzata” della guerra in Ucraina rende sempre più evidente l’esistenza di un fil rouge che lega fra loro le peggiori autocrazie del pianeta, che hanno su più fronti lanciato una sfida alla comunità delle democrazie e a un ordine internazionale fondato sulle regole e sui diritti.
L’Asse delle Autocrazie, l’alleanza tra Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, ha obiettivi di lungo periodo: mutare in modo radicale il sistema delle relazioni internazionali anche con l’uso arbitrario della forza militare; sfidare le democrazie liberali; cancellare l’universalità dei diritti umani.
E il racconto di questi quattro paesi è pressoché identico: la minaccia esterna da contenere (la Nato); un presunto “spazio vitale” da conquistare (quel “lebesraum” che avremmo voluto dimenticare), nel caso cinese nello stretto di Taiwan e nel mare di fronte alle Filippine, nel caso russo l’impero sovietico perduto; l’affermare un’idea assolutistica di “sovranità nazionale”, grazie alla quale il “sovrano” all’interno dei propri confini, può esercitare l’arbitrio più assoluto.
L’obiettivo è ambizioso: indebolire l’Occidente su più fronti possibili in Europa, Medio Oriente e Asia. La Cina sostiene lo sforzo bellico di Mosca con la fornitura di tecnologie dual use, migliaia di droni commerciali facilmente modificabili, semiconduttori e macchinari per la produzione bellica. Gli investimenti cinesi in Russia sono quadruplicati dall’inizio della guerra.
I rapporti fra la Russia, l’Iran e i suoi proxies sono noti da tempo: gli acquisti russi dei droni Shahed, che ogni notte fanno strage di civili in Ucraina, hanno superato i novecento milioni di dollari. L’Iran ha poi fornito a Mosca i missili R-122mm di fabbricazione nordcoreana e inviato istruttori militari in Crimea.
Pechino ha fornito a Teheran grandi quantità di ammonio perclorato, ingrediente fondamentale per produrre il combustibile solido per i missili balistici, acquista in valuta cinese il petrolio iraniano sotto embargo e promuove dal 7 ottobre un’ampia campagna di disinformazione sui social media cinesi e occidentali in supporto alla narrativa anti-israeliana.
Prima dell’invio di truppe in Ucraina, la Corea del Nord è stato lo storico fornitore di mitragliatrici e lanciagranate ad Hamas ed Hezbollah, molte delle quali trovate a Gaza, e da diversi anni collabora con l’Iran nello sviluppo di missili balistici intercontinentali (ICBM) con un raggio di azione superiore ai cinquemilacinquecento chilometri.
Alla luce di questo quadro in rapida evoluzione, è tempo per l’Europa e per l’Occidente di scelte coraggiose, a cominciare dall’invito formale all’Ucraina a diventare il trentatreesimo membro della Nato, iniziando da subito il percorso di piena integrazione nell’architettura di sicurezza euro-atlantica.
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