Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/10/2024, a pag. 1/4, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo: "Onu contro occidente".
Roma. “Quella cosa che chiamiamo Onu”. Il 10 settembre 1960, a Nantes, il generale De Gaulle pronunciò questa formula entrata nei libri di storia. Il generale rifiutò, all’epoca, di finanziare la spedizione dei Caschi Blu in Congo. E soprattutto, non sopportava di vedere le Nazioni Unite e il suo allora segretario generale, Dag Hammarskjöld, interferire nella questione algerina. “Il signor H”, come lo chiamavano per evitare la difficile pronuncia del suo cognome svedese, schierò l’Onu a fianco di Nasser durante la crisi di Suez. Ora le democrazie occidentali sono accusate dall’Onu di aver “represso” il diritto di manifestare per la causa palestinese. Tra i paesi accusati, Stati Uniti, Canada, Francia, Germania e Belgio. “Le proteste nei campus universitari sono state duramente represse”, ha affermato la relatrice per la promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione ed espressione all’Onu, Irene Khan. Sembra un comunicato della Repubblica islamica dell’Iran. Sono state talmente represse queste manifestazioni, che vi si possono portare le bandiere di organizzazioni riconosciute come terroriste, come Hamas e Hezbollah, si possono urlare slogan vietati secondo la definizione di antisemitismo adottata da quei paesi (da “ebrei al gas” a “ebrei tornate in Polonia”) e brandire persino le fotografie di Yahya Sinwar. Talmente represse che non uno degli studenti della Columbia University che hanno assaltato e occupato il campus è stato sospeso, neanche quando sono stati urlati slogan come “Hamas ti amiamo” a favore delle telecamere. Talmente represse che l’unico professore della Columbia che è stato sospeso dal campus è l’ebreo che ha protestato per le manifestazioni filo Hamas, Shai Davidai. Nell’anniversario dell’attacco di Hamas a Israele, Davidai ha pubblicato un video in cui seguiva Cas Holloway, il direttore operativo dell’università, e lo tempestava di domande sul perché le proteste pro palestinesi fossero consentite nel campus proprio quel giorno. “Come hai permesso che ciò accadesse il 7 ottobre?”, chiede Davidai nel video, e sullo sfondo cori pro palestinesi. “Devi fare il tuo lavoro” dice Davidai a Holloway. “E non ti lascerò in pace se loro non lasceranno in pace noi”. L’accesso al campus di Davidai era stato vietato già ad aprile, quando il docente aveva pianificato di andare in un accampamento studentesco filo palestinese al centro del campus e gridare i nomi degli ostaggi tenuti da Hamas. “Questo è il 1938”, aveva scritto in un post sui social, riferendosi al licenziamento del personale ebraico delle università della Germania nazista negli anni precedenti l’Olocausto. “L’unico professore che è stato sospeso è il professore ebreo israeliano che ha denunciato il sostegno al terrorismo nel campus”, ha risposto ieri Davidai alla notizia che non potrà mettere piede nel campus. Colleghi di Davidai che hanno salutato il 7 ottobre come Joseph Massad, che sostiene la “resistenza palestinese”, o Mohamed Abdou, che si dice “proprio filo Hamas”, non sono stati sanzionati. Un “1984” accademico. Sono state talmente represse quelle manifestazioni, che Francesca Albanese, la relatrice speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi che non ha mai mancato di far sapere a chi vanno le sue simpatie, terrà una conferenza alla Georgetown University di Washington dal titolo “Anatomia del genocidio a Gaza”. Ma Irene Khan, per chi non lo ricordasse, è la stessa persona che quand’era segretaria di Amnesty International ebbe a definire il carcere americano di Guantanamo “il Gulag del nostro tempo”, paragonando una base militare americana per terroristi dove non è morto nessuno ai lager sovietici dove sono morti tre milioni di innocenti. Chi tira le fila sta a Teheran e nelle altre capitali del jihad. Loro sono soltanto burattini.
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