Il pm fa politica? Uno schiaffo a tutti noi
Editoriale di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 22/10/2024
Pagina: 1/13
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Se un magistrato vuole il partito delle toghe

Riprendiamo da LIBERO di oggi 22/10/2024, a pag. 1/13, con il titolo "Se un magistrato vuole il partito delle toghe", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Giorgia Meloni e il giudice Patarnello. Quel che il magistrato ha scritto, definendo la premier "pericolosa" più di Berlusconi, è segno tangibile che c'è una magistratura che si muove come un partito politico. Non rispetta il suo ruolo ed è una mancanza di rispetto anche per tutti noi cittadini che ci aspettiamo che la magistratura non faccia politica.

Avviso ai riduzionisti in buona fede e ai finti tonti in servizio permanente effettivo: guardate che il messaggio del magistrato Patarnello, letto nella sua integralità e interezza, è – se possibile – ancora peggiore e più grave rispetto allo stralcio pubblicato e valorizzato l’altro giorno dal quotidiano Il Tempo.
Da trentasei ore, infatti, si registra un gran lavorio per tentare di circoscrivere o addirittura di negare il “caso”. C’è chi ci fa sapere che il magistrato in questione non è tra i più barricaderi (ottima notizia, non ne dubitiamo: figuriamoci allora i colleghi più accesi...), e c’è anche chi osserva – esaminando stralci e ritagli – che l’obiettivo della mail non era quello di “porre rimedio” alla Meloni ma alle divisioni interne alla magistratura.
E quest’ultima osservazione, presa alla lettera, è esatta: Patarnello registra il fatto che Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e dunque è più forte di altri suoi predecessori; che la magistratura è più debole e divisa rispetto al passato; che le toghe sono oggi più isolate nella società. Vero: il dottor Patarnello scrive proprio queste cose, non altre.

CONTROPOTERE

Peccato che si tratti – in perfetta buona fede: e non è necessariamente un complimento, in questo caso – di un ragionamento che assomiglia a quello di un dirigente di un partito politico in crisi che si rivolge ai suoi compagni invitandoli a una maggiore compattezza e a una strategia comune. E peccato che questo sia esattamente ciò che la magistratura non deve né essere né fare. Meno che mai individuando il governo in carica in un determinato momento come il proprio contraltare, come il soggetto al quale contrapporsi come contropotere.
Ma siamo tutti impazziti, c’è da chiedersi? Sarebbe dunque normale – secondo il testo integrale di Patarnello – chiedere una «reazione chiara e netta» del Csm e un «approccio unitario e fermo dell’Anm»? Se fossimo un paese serio, semmai, qualcuno dovrebbe una buona volta porre un altro problema: e cioè come osi un’associazione privata quale è l’Anm pensare di continuare a sequestrare un organo costituzionale come il Csm.
È venuto il momento – lo diciamo anche a una destra troppo spesso intimidita – di superare il tema, ormai francamente limitato, della contestazione del ruolo anomalo giocato dalle singole correnti della magistratura. Quelle correnti non avrebbero gran forza se non potessero contare su un alveo, anzi su un loro “governo”, e cioè la stessa Anm.
Intendiamoci. Nessuno contesta la libertà di parola di un cittadino che sia anche magistrato, ci mancherebbe. Né si contesta il diritto di pm e giudici a organizzarsi in un loro sindacato: lo abbiano e se lo facciano, nel rispetto dell’articolo 39 della Costituzione.
Ma non si può in alcun modo permettere che il correntismo degenerato, attraverso il fortino dell’Anm, e poi attraverso l’occupazione del Csm, dia vita a una sorta di “terza Camera” anomala e abusiva – del tutto incostituzionale – che pretenda di contendere a Parlamento e Governo le loro rispettive potestà legislative e di determinazione dell’indirizzo politico in materia di giustizia. E meno che mai che questa operazione avvenga attraverso prese di posizione politiche, pronunciamenti pro o contro un governo, a favore o contro una legge già scritta o ancora da scrivere.

LA VIA MAESTRA

Chi ha questo genere di ambizioni – tutte politiche – ha una strada maestra da percorrere: lasciare la toga, candidarsi alle elezioni, diventare parlamentare, e concorrere a scrivere le leggi. Ma dovrebbe invece essere impensabile perseguire quegli stessi obiettivi continuando a svolgere le funzioni di pm odi giudice.
Anche perché – e non si tratta certo di un dettaglio – se un magistrato politicizza il suo ruolo in questo modo, quale cittadino, avendo la ventura o la sventura di comparire davanti a lui, potrà ritenerlo “terzo” e al di sopra delle parti?
Come si vede, qui a Libero non abbiamo bisogno di insultare nessuno, né di mancare di rispetto a chicchessia, né tantomeno di agitarci odi sbracciarci. Ma poniamo domande gravi e profonde, che investono il senso stesso della separazione dei poteri nel nostro ordinamento. Sul tema, non sono possibili mediazioni confuse o trattative opache: chi fa il magistrato non può pretendere né di agire da legislatore né di tenere comizi politici né di trasformare l’ordine giudiziario in un corpo “in lotta” contro una maggioranza politica sgradita. Qualcuno desidera farlo? E allora si chiama “eversione”.

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