Riprendiamo da LIBERO di oggi 20/10/2024, a pag. 1/15, con il titolo "L’Iran prova a uccidere Netanyahu. Ora trema l’Ayatollah", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Con buona pace di chi invoca una mitica (e a questo punto altamente improbabile) “de-escalation”, e per giuntala chiede solo a Gerusalemme, ieri è stata ancora una volta Teheran, con la collaborazione operativa di Hezbollah, ad alzare drammaticamente il livello dello scontro, e a farlo con modalità del tutto provocatorie: nientemeno che un tentativo di assassinio diretto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Il quale di solito trascorre il sabato in una residenza privata nella città costiera di Cesarea: e proprio questa sua abitazione è stata colpita ieri da un drone esplosivo lanciato da Hezbollah dal territorio libanese.
In quel momento però né Netanyahu né sua moglie si trovavano sul posto: dunque, non si è registrato nessun ferito e l’attentato è clamorosamente fallito. Ma attenzione ai particolari, tutti altamente rivelatori, e tali da rendere la giornata di ieri il possibile innesco di una nuova fase rovente della guerra, probabilmente fino allo scontro finale tra Gerusalemme e il regime di Teheran.
Lo strumento utilizzato per colpire (un drone iraniano Shahed 101: lo stesso modello di cui Teheran rifornisce Mosca, tra l’altro) ha una struttura in fibra di carbonio che lo rende meno visibile, meno intercettabile, capace di volare a bassa quota, e che in genere è usato per assassinii mirati, essendo dotato di una testata esplosiva. Dunque, era palese l’intenzione di centrare il bersaglio grosso, cioè il primo ministro israeliano.
Non solo: se già era impensabile che un’operazione del genere potesse essere stata decisa da Hezbollah senza il semaforo verde di Teheran, la conferma è giunta quando – sempre nella giornata di ieri – i canali Telegram delle guardie rivoluzionarie iraniane hanno mostrato un’immagine della villa di Netanyahu colpita, con le vetrate anti-proiettile che hanno resistito all’impatto. Ma proprio la pubblicazione orgogliosa di quella foto equivale, da parte di Teheran, a una rivendicazione aperta dell’attentato.
Sempre su quei canali, poi, le forze iraniane hanno diffuso messaggi rivolti a Netanyahu in questi termini: «Ovunque tu sia, la morte ti troverà».
E lui, il bersaglio? Netanyahu ha replicato con un video in lingua inglese. Polo scura, occhiali da sole, il premier, mentre passeggia in un parco, risponde alla domanda di una voce fuori campo: «Primo ministro, come va?». E lui: «Bene. Due giorni fa abbiamo eliminato Sinwar, la mente del terrore i cui sicari hanno decapitato i nostri uomini, violentato le nostre donne, bruciato vivi dei bambini, e noi l’abbiamo eliminato.
Ora stiamo continuando la battaglia contro gli altri proxy dell’Iran. Vinceremo questa guerra». Domanda finale: «Qualcosa la fermerà?». Risposta secca: «No».
Ma la questione va ben oltre la prova di imperturbabilità personale offerta da Netanyahu, che peraltro sempre ieri ha parlato di un «prezzo pesante» che dovrà essere pagato da Teheran e dai suoi alleati. Se Gerusalemme (e non si vede come possa fare diversamente) considera i fatti di ieri a Cesarea come un tentativo di assassinio diretto del proprio primo ministro, ciò vuol dire che a questo punto Israele è oggettivamente legittimata a rispondere puntando dritto su Alì Khamenei, la guida suprema iraniana, capo del regime teocratico di Teheran.
Se cioè l’Iran ha cercato di colpire Netanyahu a casa sua, ora – allo stesso modo – puntare a eliminare Khamenei (presso una casa, un ufficio, una sede ufficiale o un nascondiglio) diventa un’azione proporzionata e legittima dal punto di vista di Israele. I missili balistici Jericho 3 israeliani (4.000 miglia di gittata) sono pronti, le strutture di intelligence pure. E il tiranno Khamenei, dopo la sorte recentemente toccata ai suoi cari amici Nasrallah e Sinwar, da ieri ha un ulteriore motivo in meno per dormire tranquillo.
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