Tre opzioni dopo Sinwar
Commento di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica
Data: 19/10/2024
Pagina: 1/27
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: Tre opzioni dopo Sinwar

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/10/2024, a pag. 1/27, con il titolo "Tre opzioni dopo Sinwar", il commento di Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari
Le tre opzioni di Khamenei - la Repubblica
Le tre opzioni passano da Teheran, Mosca e Yemen, ma l'idea dei nemici d'Israele rimane la stessa: distruggere lo Stato Ebraico. Tuttavia, questo illusorio sogno antisemita si scontra con la realtà dei fatti

Sulla carta, i messaggi arrivati da Teheran nelle ultime 36 ore lasciano intendere che gli ayatollah vogliano continuare l’assedio militare a Israele da sette direzioni: da Gaza e West Bank con Hamas e Jihad Islamica, da Libano e Siria con Hezbollah, dall’Iraq con Kataib Hezbollah, dallo Yemen con gli Houthi e dallo stesso Iran con missili e droni. Se il ministero degli Esteri di Teheran promette che “altri si alzeranno per sostituire Sinwar”, il presidente Masoud Pezeshkian assicura che “il martirio dei comandanti non indebolisce la resistenza” e gli Hezbollah annunciano “un’escalation di attacchi contro l’Entità sionista” è perché il regime degli ayatollah vuole far sapere ai seguaci che l’obiettivo della distruzione di Israele resta intatto e la scelta di perseguirlo con l’assedio militare continuerà senza esitazioni. È una posizione ideologica che l’ayatollah Ali Khamenei ha incarnato recitando il sermone di Teheran con una mano sul fucile e a cui si lega il progetto di estendere la propria egemonia sull’intero Medio Oriente opponendosi al processo degli Accordi di Abramo, fra Israele e Paesi sunniti, sostenuto da Usa e Ue. Ma è una scelta che espone gli ayatollah ad evidenti rischi: dalla difficoltà di riorganizzare e risollevare in fretta Hamas e Hezbollah alla minaccia di un imminente attacco israeliano — in risposta al lancio di missili iraniani del 1 ottobre — che si propone apertamente di indebolire il regime.

Da qui lo scenario della seconda opzione, di cui si discute fra gli alleati occidentali, con Teheran che sceglierebbe di rafforzare il sostegno a Houthi in Yemen e Kataib Hezbollah in Iraq, fornendogli rispettivamente missili russi e droni più sofisticati, al fine di continuare la guerra per procura contro lo Stato ebraico ma con un chiaro passo indietro rispetto a Hezbollah e Hamas. In questo schema in Libano del Sud e a Gaza si potrebbero creare delle zone cuscinetto ai confini di Israele, generando una situazione di precaria stabilità, mentre la guerra continuerebbe con lanci di droni e missili da Iraq, Yemen e Iran. Consentendo a Teheran di avere un equilibrio di forza con Gerusalemme tale da consentirle diguadagnare il tempo necessario per raggiungere l’arma atomica, proteggendosi così anche dal rischio di attacchi futuri. Anche da parte degli Stati Uniti.

C’è però la terza opzione e ha a che fare con Mosca. Il Cremlino è infatti il più importante protettore e alleato di Teheran. È Putin che acquista droni iraniani per combattere in Ucraina, fornisce tecnologia balistica a Teheran, sostiene il suo programma nucleare e, soprattutto, come lui stesso ha detto al presidente Pezeshkian nel recente incontro in Turkmenistan vuole “creare un nuovo ordine internazionale” al posto di quello uscito dalla fine della Guerra Fredda. Il patto Putin-Pezeshkian su questo “nuovo ordine” si basa sulla somma fra guerre d’attrito su più fronti contro l’Occidente — in Europa, Africa e Medio Oriente — e al contempo la costruzione di accordi multilaterali fra Brics, Organizzazione di cooperazione di Shangai e Unione Euroasiatica. È un processo di medio termine, nel quale Putin vuole associare la Cina di Xi Jinping. Dunque, Mosca ha interesse a consolidare la pedina di Teheran, non a vederla barcollare sotto il peso degli smacchi subiti da Hamas e Hezbollah o, peggio, di un attacco militare israeliano appoggiato dagli Stati Uniti. Se Putin ha sostenuto Hamas dopo il 7 ottobre è perché voleva arruolare i jihadisti nella sfida globale alle democrazie, al fine di obbligare la Casa Bianca a dividere il proprio arsenale fra Ucraina e Israele, ma la morte di Sinwar può spingere Putin a cambiare registro, preferendo consolidare il patto strategico con Teheran, in un’ottica meno militare e più politica di sfida agli Usa. Tantopiù che, anche lui, sta aspettando di conoscere il nome del prossimo inquilino della Casa Bianca e sa che, se dovesse essere Donald Trump, si aprirà una delicata fase di trattativa a tutto campo: dal corso del Dnepr fino alle spiagge di Gaza.

Ecco perché tutti gli occhi sono puntati su Teheran e sulla scelta che farà Ali Khamenei, da cui dipendono i Guardiani della rivoluzione che armano, addestrano e finanziano i gruppi jihadisti in Medio Oriente. Ed è una scelta che incombe perché il conto alla rovescia per l’attacco di Israele è già iniziato.

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