Riprendiamo da SHALOM online l'analisi di Ugo Volli dal titolo "In attesa dello scontro con l’Iran, la montatura propagandistica intorno a Unifil".
Ugo Volli
Una nuova fase
La guerra multifronte che Israele è costretto ad affrontare da più di un anno per la propria sopravvivenza sta entrando in una quarta fase e questo rende la situazione molto complessa, dando talvolta anche l’impressione di una difficoltà militare e di decisione. Bisogna ricapitolare i fatti, per capire meglio. In un primo momento dopo il 7 ottobre, le forze armate israeliane dovettero eliminare gli invasori che avevano fatto strage e riorganizzarsi per la conquista terrestre di Gaza, un’ipotesi strategica che non era stata prevista dai piani dello Stato Maggiore.
La conquista di Gaza
Dopo tre settimane, il 28 ottobre, inizia la seconda fase dell’operazione di terra, che procede da nord a sud piuttosto lentamente, sia per la difficoltà dei combattimenti in un terreno fittamente urbanizzato dove i terroristi sono annidati in fortificazioni sotterranee, spesso collocate sotto ospedali, moschee, scuole, edifici dell’UNRWA, sia per la resistenza americana che blocca per esempio per un paio di mesi la fase finale e decisiva della conquista di Rafah e del corridoio “Filadelfia” al confine dell’Egitto. La campagna non si propone di occupare tutto il territorio, ma di distruggere le forze organizzate del nemico. Questo scopo è conseguito circa un mese e mezzo fa: anche se i terroristi detengono ancora un centinaio di israeliani rapiti e il loro capo Yahya Sinwar è ancora libero e in vita, la guerra a Gaza non deve contrastare più forze organizzate, ma piccole unità di guerriglia e non richiede più l’impiego permanente di grandi reparti israeliani.
La guerra con Hezbollah
Si può aprire così la terza fase della guerra, quella che riguarda Hezbollah, il quale era entrato in combattimento con Israele già l’8 ottobre, bombardando le città e le basi del nord di Israele. A partire da un mese fa, le forze armate israeliane avevano raggruppato e allenato unità sufficienti per fare i conti con questa minaccia, molto più grave di Hamas per il numero delle sue truppe, l’armamento missilistico sofisticato e anche per la natura del terreno montagnoso del Libano meridionale. Israele l’ha fatto con una serie di colpi audaci e imprevisti: la decimazione dei quadri con i cercapersone esplosivi, i bombardamenti che sono riusciti ad eliminare il loro leader Nasrallah e buona parte della dirigenza militare oltre a molti depositi di armi e missili, l’ingresso di forze dei terra nella zona controllata da Hezbollah oltreconfine, eseguito non nella forma di un’invasione tradizionale che mira alla capitale, com’era accaduto nelle due precedenti guerre del Libano, ma di operazioni aereo-terrestri mirate di antiguerriglia e di distruzione delle istallazioni. Il successo è stato grande e inaspettato, probabilmente distruggendo due terzi del potenziale militare dell’organizzazione terroristica. Ma non bisogna farsi illusioni, quel che resta è grande abbastanza per creare gravi danni; la distruzione dei comandi e delle capacità di comunicazione interna dei reparti militari è stata in qualche modo rimediata, grazie anche all’intervento del grande burattinaio del terrorismo contro Israele, l’Iran. Così è accaduto che siano ripresi con energia i bombardamenti contro il nord di Israele e che vi sia stato anche un grave danno, quando un drone ha colpito l’altro ieri il refettorio di una base militare israeliana, provocando quattro morti e circa sessanta feriti.
La quarta fase: lo scontro diretto con l’Iran
Nel frattempo, l’Iran è di nuovo intervenuto direttamente in guerra, due settimane fa, con un bombardamento massiccio di Israele, il secondo dopo quello di aprile. Questo però, a differenza del primo, ha provocato danni diffusi ed è convinzione generale che Israele non darà una risposta quasi solo simbolica come avvenne l’altra volta, ma potrà attaccare luoghi molto sensibili: le istallazioni nucleari, quelle petrolifere o in generale quelle militari. Sugli obiettivi dell’attacco c’è stato un dibattito interno al governo israeliano ma soprattutto una trattativa con l’amministrazione Biden, che come sempre ha cercato di frenare l’azione israeliana. Israele però non può prescinderne, sia per ragioni politiche e diplomatiche generali, sia per il bisogno di rifornimenti di armi e munizioni, sia perché nella fase offensiva e poi nella difesa dall’inevitabile controreazione iraniana combattere senza gli Usa sarebbe molto difficile. Un accordo ormai sembra raggiunto e si aspetta solo il momento in cui avverrà lo scontro diretto e probabilmente molto pesante e continuo con l’Iran: la fase decisiva della guerra.
Unifil
È in questo momento di sospensione che è emerso, non a caso per opera di nemici europei di Israele come Spagna e Irlanda, la questione Unifil: un’operazione di disturbo e propaganda analoga a quella che nella seconda fase era stato il finto scandalo dell’ospedale Al-Ahli al-Arabi che i sostenitori di Hamas avevano preteso Israele avesse bombardato il 18 ottobre 2023 – e invece era stato un loro missile caduto prematuramente. In realtà la questione è semplice. Unifil ha basi sparse nel territorio dei combattimenti fra Israele e Hezbollah nel Libano meridionale. È una forza internazionale messa lì per accertarsi che fosse rispettata la risoluzione Onu con cui si era conclusa la seconda guerra del Libano, in particolare il ritiro di tutte le forze armate che non fossero l’esercito libanese (in sostanza Hezbollah) a nord del fiume Litani, una dozzina di chilometri al nord della frontiera. Non l’ha mai fatto. C’è chi dice che la colpa è delle regole di ingaggio che le impediscono di intervenire direttamente; il suo compito sarebbe osservare e riferire. Ma neanche questo ha mai fatto: Israele ha documentato abbondantemente che le istallazioni terroristiche (tunnel di attacco, lanciamissili, depositi di armi, fortificazioni) sorgono proprio accanto alle basi Unifil e probabilmente si scoprirà che sono anche al loro interno o nei loro sotterranei. Ma Unifil non neppure ha mai denunciato e documentato dettagliatamente queste violazioni. Si è fatta anche vessare, rapinare e sparare addosso da Hezbollah senza reagire né protestare. È servita come istanza di trattative per risolvere piccoli incidenti fra Israele e Libano, ma non si capisce perché ci sia bisogno di 10.000 soldati per questo compito.
Gli incidenti
Dopo che è scoppiata la guerra, Israele ha chiesto che i militari Onu si ritirassero per non colpirli. Non l’hanno fatto, proteggendo di fatto i terroristi annidati vicino e hanno anche rifiutato di spegnere alcuni impianti di osservazione televisiva e di illuminazione che erano sfruttati da Hezbollah. Vi è stato qualche incidente minore, quando i bombardamenti israeliani hanno colpito questi impianti o schegge di proiettili indirizzati ai terroristi hanno ferito un paio di soldati Unifil. Ma si tratta di episodi militarmente di poca portata, non certo di “aggressioni” israeliane dirette, che avrebbero avuto ben altro costo di vite. Tutta la questione Unifil è una montatura propagandistica contro Israele. In attesa della quarta fase della guerra, quella decisiva con l’Iran, che si aprirà fra qualche giorno, o fra qualche ora.
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