Riprendiamo da LIBERO di oggi 13/10/2024, a pag. 1/10, con il titolo "Va sconfitto il regime iraniano e smantellata la dannosa ONU, ormai ostaggio degli integralisti", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
È stata una settimana amaramente prevedibile: che si è aperta (lunedì cadeva la ricorrenza del 7 ottobre) con l’Italia della politica e dei media – non di rado con qualche ipocrisia: ormai è fin troppo chiaro – radunata presso la Sinagoga di Roma e quella di Milano per manifestare solidarietà e cordoglio verso Israele. Salvo però nei giorni successivi tornare ad attaccare Gerusalemme con toni spesso fuori misura.
Indubbiamente, la controversa scelta dell’esercito israeliano di attaccare anche postazioni e installazioni Onu non era stata concepita – diciamo – per alimentare il consenso internazionale: questo è poco ma sicuro. Ed era scontato che anche il governo italiano dovesse criticare quella decisione. Fin qui, tutto comprensibile.
Meno comprensibile è però che troppi attori (dalla Casa Bianca all’ineffabile Onu, dall’Ue alle cancellerie dei singoli paesi europei, passando per un coro mediatico che in Italia è stato rotto solo da Libero), nella foga di urlare contro Netanyahu, abbiano perso di vista i due punti cruciali della questione.
Primo. Israele – e fa bene, anzi benissimo– non ha più intenzione di consentire ai nemici islamisti che vorrebbero distruggerla di organizzarsi, prosperare e tornare a colpire. E quindi, dopo aver messo in ginocchio Hamas e Hezbollah, Gerusalemme vuole chiudere i conti anche con il regime criminale di Teheran. Vedremo che strada sceglierà: ed è certamente auspicabile che Israele scelga strumenti (militari e non) che incoraggino la popolazione iraniana a ribellarsi contro il clero integralista che opprime l’Iran dal 1979.
In altre parole, Israele dovrebbe riuscire nel miracolo di colpire il regime e contemporaneamente far sentire agli iraniani oppressi che Gerusalemme lotta anche per la loro liberazione.
LE RESPONSABILITÀ
Secondo. È emersa in modo eloquente l’inutilità (peggio: la dannosità) dell’attuale Onu. La missione Unifil (che alcuni dei suoi stessi partecipanti chiamano amaramente: “Inutifil”) non solo non ha disarmato Hezbollah, ma ha lasciato che quell’orrido gruppo terroristico facesse il bello e il cattivo tempo in Libano. Le regole d’ingaggio della missione, per giunta, sono tali da esporre i militari a un pericolo concreto: una ragione di più per riportare indietro i nostri uomini. E a questo si accompagna l’elenco (interminabile) delle responsabilità dell’Onu prima e dopo il 7 ottobre.
Il segretario generale, il portoghese Guterres, detesta politicamente Israele. La famigerata Unrwa, l’organizzazione onusiana che si occupa dei profughi palestinesi, non ha visto troppe cose a Gaza: uomini direttamente o indirettamente coinvolti nel 7 ottobre, insegnanti avvelenatori di coscienze, opache complicità o condiscendenze verso Hamas.
Tutta questa vicenda (come troppe altre: Ruanda, ex Jugoslavia, Covid) mostra l’inefficacia complessiva dell’Onu, il suo essere ormai terreno di scorribande e triangolazioni tra dittature (in primo luogo: Pechino, Mosca, Teheran). Sarebbe l’ora – dopo anni di discussioni – di immaginare una Comunità delle democrazie, cioè un forum in cui le democrazie del mondo non fossero imbrigliate e perfino derise dalla connection tra autocrazie e integralisti islamici che blocca il Palazzo di Vetro. E invece? Invece di discutere di questo, gli autoproclamati “buoni” e le anime belle, qui in Occidente, hanno un solo bersaglio polemico: Israele e il suo governo. In un paradossale capovolgimento del bene e del male, non fanno deterrenza contro l’Iran, ma contro Gerusalemme. E ignorano ciò che ogni persona intellettualmente onesta sa: se non ci fosse stato quel capolavoro della tecnologia che si chiama Iron Dome (la cupola d’acciaio: il supersistema di difesa anti-missile), Israele sarebbe già stata distrutta due volte in sei mesi.
GERUSALEMME VUOL VINCERE
La novità è che gli israeliani hanno detto basta, e hanno deciso che non vogliono farsi massacrare dal regime iraniano e dai suoi aiutanti. E quindi Gerusalemme intende vincere. E vincere vuol dire esattamente vincere: uccidere o catturare i capi delle organizzazioni terroristiche, mettere in fuga (o in condizione di non nuocere) i vertici del clero teocratico iraniano, e mostrare al mondo che il male può essere sconfitto, come accadde nella Seconda Guerra Mondiale.
Ci sono dei rischi? Certo che sì. E però l’alternativa rappresentata dall’appeasement, dal cedimento e dalla trattativa con tiranni e terroristi comporterebbe non rischi, ma certezze: certezze di nuova destabilizzazione, di nuovi attacchi, di nuove stagioni di terrore, di azioni devastanti perfino nelle capitali europee, di una ferita purulenta che continuerebbe a generare un’orrenda infezione.
Sono queste le ragioni per cui, anche al termine di una settimana difficile, occorre stare con ancora maggior convinzione dalla parte di Israele.
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