Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - il commento di Einat Wilf, dal titolo "La guerra finirà solo quando finirà l’ideologia palestinista che pretende uno stato al posto, e non a fianco, dello stato ebraico".
Pace. È tempo di riportare in auge questa parola. Di più, è tempo di aspettarsela e pretenderla. Nel mezzo di quella che pensavamo fosse la pace, abbiamo sbagliato a non prepararci e a non pensare alla guerra. Nel mezzo di una guerra brutale, è tempo di immaginare la pace.
Un tempo si pensava che fosse così che finiscono le guerre: una parte vince e l’altra perde, o anche si arrende. Da questa chiara premessa che pone fine alla guerra, poi si negozia la pace.
Questa semplice idea sembra essere stata dimenticata. Mentre così tanti nel mondo invocano con grida isteriche un cessate il fuoco immediato, noi dovremmo prendere posizione enunciando una chiara visione di pace.
Un anno fa, il 7 ottobre, quando Israele dichiarò guerra in risposta all’invasione, occupazione, al feroce massacro e al rapimento di innocenti da parte palestinese, commettemmo l’errore basilare di dichiarare guerra solo a Hamas, mentre avremmo dovuto dichiarare guerra all’ideologia del palestinismo, di cui Hamas è solo l’esecutore più recente e spietato.
Il 7 ottobre avremmo dovuto dire, e dovremmo continuare a dire: “La cosa finisce qui: da Gaza alla Colombia, questa ideologia che per più di un secolo ha giurato di impedire, e poi di annientare, l’esistenza di uno stato sovrano per il popolo ebraico di qualsiasi dimensione e in qualsiasi parte della patria ancestrale, deve morire”.
Una tale dichiarazione avrebbe anche portato conseguentemente a una visione della pace.
Dobbiamo dichiarare che questa guerra finirà quando l’ideologia distruttiva del palestinismo verrà sostituita da un’ideologia costruttiva. Deve essere sostituita da un’ideologia che miri a vivere accanto a uno stato ebraico, non al posto dello stato ebraico come proclama il martellante slogan “dal fiume al mare” (il principio su cui si è forgiato e si è alimentato da sempre l’ethos palestinista ndr).
Questo è il punto di vista che dovremmo ribadire ogni giorno.
Abbiamo bisogno di leader che ogni giorno si rivolgano al mondo dicendo: “Il giorno in cui i palestinesi porranno fine alla loro guerra secolare contro il sionismo, il giorno in cui svilupperanno una visione costruttiva anziché che distruttiva, il giorno in cui vorranno vivere accanto a uno stato ebraico, e non al suo posto, il giorno in cui capiranno che non esistono profughi pluri-generazionali per diritto ereditario e accetteranno che non esiste un ‘diritto al ritorno’ dentro il territorio sovrano dello stato di Israele, quello è il giorno in cui scopriranno che noi, come è sempre stato, siamo pronti a vivere in pace con loro, fianco a fianco, in due stati separati”.
E’ la stessa posizione che dobbiamo affermare con il Libano. Basta coi deboli appelli all’applicazione delle precedenti risoluzioni Onu che nessuno si era preso la briga di far rispettare, finché non ha iniziato Israele a imporre con la forza il disarmo di Hezbollah previsto da quelle risoluzioni.
Dobbiamo esigere che questa guerra finisca con una pace piena e completa tra Libano e Israele, niente di meno.
Non abbiamo alcuna disputa territoriale con il Libano e finché loro non opteranno per la pace, ci sarà la guerra. Decideremo noi quando e come combatterla, ma basta con i cessate il fuoco unilaterali, le vacue risoluzioni dell’Onu e le “forze Onu di mantenimento della pace” peggio che inutili.
Infine, dobbiamo tornare a rivolgerci a quei paesi confinanti con cui abbiamo ufficialmente firmato la pace e chiedere che quei trattati inizino finalmente a sembrare una vera pace, e non solo osannati accordi di non belligeranza.
Abbiamo dato all’Egitto l’intera penisola del Sinai, ma in cambio abbiamo ricevuto molto meno di una vera pace.
L’Egitto continua a essere il generatore e divulgatore numero uno del peggior tipo di contenuti antisemiti in lingua araba. Non ci sono rapporti culturali, zero turismo, quasi nessuna relazione diplomatica. L’Egitto, con la Giordania, promuove molte risoluzioni anti-Israele negli organismi internazionali. L’Egitto ha chiaramente consentito l’enorme accumulo di armamenti nella striscia di Gaza. E come non bastasse, il suo esercito, equipaggiato dagli americani, conduce esercitazioni militari dove Israele è individuato come minaccioso bersaglio.
La Giordania non è migliore su tutti questi fronti, con l’ulteriore aggravante che la sua regina va su ogni piattaforma globale a rilanciare le affermazioni più diffamatorie contro Israele. La chiamiamo pace, mentre tutti sanno che è tutt’altro.
Ecco cosa dobbiamo cambiare. Nella nostra disperata ansia di essere accettati e di sentirci finalmente in pace, abbiamo permesso che realtà che vanno sotto il nome di pace, cessate il fuoco e disarmo venissero screditate e negate del tutto.
Se è vero il classico cliché per cui “la pace inizia da se stessi”, ebbene spetta a noi ripristinare gli standard e la dignità della nostra condotta in modo che quando diciamo che ci aspettiamo la pace, si sappia che intendiamo pace vera e completa.
(Da: Jerusalem Post, 7.10.24)
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