Riprendiamo da LIBERO di oggi, 12/10/2024, pag. 18, con il titolo "Kamala e Barack come Elly: la sinistra trionfa. Su Vogue", la cronaca di Dario Mazzocchi.
Dario Mazzocchi
Ci sono la diversità e l’inclusione, ci sono le battaglie per i diritti civili e le minoranze, ci sono le campagne di sensibilizzazione per il clima e contro la fobia, qualsiasi fobia. E poi c’è, non da ultima, la questione estetica, intesa proprio come apparenza. Potremmo definirla anche armocromatica, memori della rivelazione che la segreteria del Partito democratico Elly Schlein consegnò a Vogue Italia perché la politica è importante, ma i toni giusti da abbinare lo sono altrettanto ed è fondamentale sapere cosa indossare per portare avanti la rivoluzione progressista.
La sinistra prova dunque a farsi piacere, a dispetto dei risultati delle urne che - a detta di certi commentatori- presenterebbero colori troppo scuri, se non addirittura neri, mentre andrebbero apprezzate le sfumature più chiare e gentili che un bravo armocromista sa invece indicare e che però a conti fatti vanno bene più per una copertina su una rivista di moda che per l’agone vero e proprio, dove capita di sporcarsi di fango quando i giochi si fanno seri. Tant’è, ci risiamo e a questo giro la copertina di Vogue è quella per il mese di novembre dell’edizione americana, la Bibbia dello stile per eccellenza, e la protagonista è nientemeno che Kamala Harris, la candidata democratica alle Presidenziali del 5 novembre. Non sorprende: Kamala piace alla gente che piace e quindi anche alla redazione di Vogue.
«La candidata per i nostri tempi», così è ritratta in un ampio servizio che ripercorre la sua campagna elettorale partendo da una calda giornata di luglio nel Wisconsin in cui «indossa un semplice completo nero, con una camicetta bianca liscia, una collana doppia con alcune perle e scarpe con tacco in vernice nera».
Nelle foto che accompagnano il servizio è istituzionale, ma anche rassicurante, autorevole e accogliente. Nelle parole traspare una vocazione al campo largo: «Non si potrà mai avere un accordo completo su tutte le questioni.
Ma si può trovare un terreno comune e ampliare quello» (tra lei e Schlein è già un’armonia di intenti). Tornano così alla memoria i numeri che Vogue ha riservato alla coppia Obama. Barack e Michelle che si abbracciano, che sorridono complici e vincenti: lui il presidente che incarnava la realizzazione del sogno americano, lei la donna più stilosa in circolazione. E pensare che negli anni Ottanta gli edonisti erano i perfidi reaganiani.
Per gli annali, Vogue ha dedicato ben tre copertine a Michelle Obama e Kamala magari vorrà fare altrettanto, se non meglio: sono amiche, masi sa che la rivalità femminile ha pochi eguali. Di sicuro dovrà rimboccarsi le maniche – senza stropicciarle - perché lontano dalle pagine patinate c’è una realtà molto più aspra. Le cose non stanno andando bene per la vicepresidente: tra Pennsylvania e Michigan c’è una fetta di elettorato che non si appassiona alla sua campagna e in una corsa alla Casa Bianca così serrata ogni voto conta davvero. Lo sa bene Hillary Clinton che nel 2016 è rimasta chiusa fuori per colpa di questi due stati, tradizionalmente democratici, che le hanno preferito Donald Trump.
La storia si sta ripetendo? I sondaggi così fanno intuire, da ultimo quello pubblicato ieri sul Wall Street Journal. Harris ha un risicato vantaggio che non si schioda perché non sfonda tra la classe operaia, spaventata dalla crisi industriale e dalla competizione cinese, due temi su cui Trump è tornato a battere prepotentemente il chiodo nelle ultime ore da Detroit, la capitale che fu del settore automobilistico americano. A quella classe operaia appartengono molti elettori di colore e non è dunque un caso che ad aver preso in mano la situazione sia sempre lui, Barack Obama, facendo visita ad un comitato pro Harris di Pittsburgh dove ad ascoltarlo c’erano diversi uomini neri. «Non vediamo lo stesso tipo di energia e partecipazione in tutti i quartieri delle nostre comunità che abbiamo visto quando io mi candidavo», ha messo in chiaro Obama. E questa sensazione, ha aggiunto, la si percepisce soprattutto tra i «fratelli», vale a dire tra gli elettori di colore. Da qui la chiamata alle armi: «Mi viene da pensare che non vi piaccia l’idea di avere una donna come presidente. Pensate di chiamarvi fuori o di sostenere qualcuno con un trascorso di denigrazione verso di voi, perché pensate che sia un tratto di forza? Perché è questo che significherebbe essere un uomo? Sminuire le donne? Non è accettabile». Se a una prima analisi si nota l’esortazione ad avere fiducia in Harris perché essere donna non significa essere debole, tra le righe si legge dell’altro: non potete scegliere un razzista come Trump che vi scredita e quindi è il momento di scegliere Kamala perché è una dei nostri, di colore. Con buona pace della femminilità promossa da Vogue.
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