Riprendiamo dal Corriere della Sera di oggi, 10/10/2024, a pag. 15, con il titolo "Missione Ue, Zelensky a Roma «La guerra può finire nel 2025»" l'analisi di Federico Fubini.
Federico Fubini
Per la seconda volta in un mese Volodymyr Zelensky viene in Italia e per la seconda volta vedrà la premier Giorgia Meloni. Il presidente ucraino ha accettato l’invito a Roma di questa sera, quando sembrava che si sarebbe poi tenuto sabato a Ramstein l’incontro fra i leader della Nato. Quel vertice è stato annullato perché l’uragano Milton sta tenendo bloccato Joe Biden in America, dunque salta anche l’incontro ristretto che i leader di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania avrebbero tenuto con il loro collega di Kiev.
Ma Zelensky ha comunque approfittato del suo viaggio europeo, iniziato ieri a Dubrovnik incontrando i governi d’Europa Sudorientale, per un tour delle principali capitali: oggi sarà a Parigi all’Eliseo e poi a Villa Doria Pamphilj con Meloni, domani in Vaticano da papa Francesco e poi a Berlino. Sicuramente raggiungerà anche il premier Keir Starmer a Londra.
Tanto attivismo di Zelensky riflette la sua convinzione che ora è il momento di cercare una via d’uscita che non lasci l’Ucraina in ginocchio ed esposta a nuove aggressioni dalla Russia in futuro. «In ottobre, novembre e dicembre abbiamo una reale possibilità di spingere la situazione verso la pace e una stabilità duratura — ha scritto ieri il presidente ucraino su X —. La situazione sul campo crea un’opportunità per un’azione decisiva che metta fine alla guerra non oltre il 2025».
Queste parole di Zelensky, naturalmente, vanno interpretate. Lui per primo sa che settembre, come ha documentato la rivista Grand Continent, è stato il mese di maggiori perdite territoriali per l’Ucraina dalla prima metà del 2022: almeno 468 chilometri quadrati conquistati da Mosca al prezzo di circa mille perdite russe al giorno, fra morti e feriti. Le forze ucraine in questa fase sono sovrastate in uomini e mezzi su tutto il fronte del Donbass. La stessa scelta dell’incursione del Kursk, lanciata da Zelensky a inizio agosto, ha aspetti paradossali: fra gli obiettivi c’era anche quello di dimostrare dinamismo agli stessi sostenitori esterni dell’Ucraina, risollevare il loro stesso morale sull’esito della guerra e incoraggiarli ad aiutare con più armi e mezzi. Ora però una quantità significativa di unità ucraine di élite si trova, in una certa misura, intrappolata in territorio russo e incapace di venire in aiuto lungo la linea di contatto del Donbass. A Kiev si ritiene che uscire dal Kursk sarebbe persino più costoso in termini di vite ucraine che restarvi, anche perché si teme che l’esercito di Mosca inseguirebbe le unità in ridispiegamento fuori dalla Russia fino alla regione di Sumy, dall’altra parte del confine.
Eppure il piano che Zelensky propone agli europei ha una sua logica, dettata dalle pressioni della guerra. Sul piano militare, la leadership ucraina aspetta che le piogge d’autunno rendano impossibile ai russi di avanzare fino a dicembre: fra tre mesi a Kiev si conta di poter disporre di migliaia di missili in più per difendersi.
Ma è sul piano politico che Zelensky ora vuole convincere gli europei. Lui per primo sa che non potrà mai rinunciare ufficialmente ai territori occupati (troppo impopolare dirlo, per qualunque politico ucraino). Sarebbe però pronto a un cessate il fuoco lungo la linea attuale — senza riconoscere un nuovo confine ufficiale — in cambio di alcuni impegni occidentali. In primo luogo, una garanzia di sicurezza da parte degli Stati Uniti, sul modello di quelle estese dagli americani a Giappone, Corea del Sud e Filippine. Da Roma, Parigi e Berlino invece Zelensky vorrebbe rassicurazioni su un rapido ingresso nell’Unione europea, che dia all’Ucraina un orizzonte di crescita.
Non sarà facile, perché a Vladimir Putin non bastano i territori che ha già strappato con il sangue di un milione di persone. Il dittatore del Cremlino vuole soprattutto destabilizzare l’Ucraina e controllarla politicamente. Il bilancio dell’apparato di difesa di Mosca nel 2025 sale a circa 130 miliardi di dollari, dai 108 di quest’anno. Nel 2024 del resto Mosca fatturerà 190 miliardi di dollari dall’export di petrolio: più di prima della guerra. Finché le sanzioni non morderanno di più, piegando la macchina da guerra russa, Putin non ha ragione di sedersi al tavolo della pace.
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@corriere.it