Crisi della sinistra perché Orban osa parlare
Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 10/10/2024
Pagina: 1/5
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Imporre sanzioni comuni a un governo sgradito demolirebbe la democrazia

Riprendiamo da LIBERO di oggi 10/10/2024, a pag. 1/5, con il titolo "Imporre sanzioni comuni a un governo sgradito demolirebbe la democrazia", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Viktor Orban parla al Parlamento Europeo e la sinistra impazzisce fischiando, insultando e cantando "Bella Ciao". Ma non è solo folklore: i governi dell'UE stanno veramente pensando di privare l'Ungheria del diritto di voto e di sanzionarla. Sarebbe la fine della democrazia: un governo liberamente eletto verrebbe privato dei suoi diritti dall'UE, un organismo sovranazionale governato da una Commissione non è eletta.

No, purtroppo Viktor Orbán non è un erede di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, né - a onor del vero- ha mai preteso di spacciarsi per tale. Non lo è in politica interna, e meno che mai desidera esserlo in politica estera, considerando la sua collocazione geopolitica ambigua, spesso troppo condiscendente o addirittura ammiccante verso Pechino e Mosca.
Per queste ragioni, sconsiglieremmo a chiunque, in Occidente, di considerarlo un modello di riferimento e un’ispirazione: auspicabilmente, il centrodestra italiano ha e dovrà avere - nel presente e nel futuro - connotazioni piuttosto diverse.
Ciò detto, va affermato con la stessa nettezza che i periodici attacchi europei nei confronti di Orbán sono semplicemente inaccettabili, e mostrano in chi li orchestra un atteggiamento molto più intollerante di quello imputato al leader ungherese, a partire dall’opaca minaccia di privare Budapest dei suoi diritti di voto in sede Ue.
Formalmente, se il Parlamento europeo assumesse un’iniziativa del genere, la palla passerebbe in seconda battuta ai governi, cioè al Consiglio, che potrebbe far scattare le sanzioni: e in quel caso servirebbe una maggioranza larghissima, i quattro quinti di quell’organo.

PUNTO DI NON RITORNO

C’è da dubitare che un meccanismo del genere possa essere davvero innescato: ma il solo fatto che si sia aperto un dibattito di questo tipo rappresenta di per sé un precedente di gravità enorme: passa infatti il principio per cui, sulla base di valutazioni politiche del tutto discrezionali e arbitrarie, un governo liberamente scelto dai cittadini possa essere punito da una Ue (è sempre il caso di tenerlo a mente) i cui vertici, a partire dalla Commissione, non sono stati eletti da nessuno.
A maggior ragione, dunque, va detto e scandito a chiare lettere: si tratterebbe di una scelta clamorosa, perché metterebbe nel cestino democrazia e rispetto della volontà popolare.
Tra l’altro, gli anti-Orbán, che non tollerano nemmeno l’idea che l’Ungheria sia presidente di turno dell’Unione (cosa che capita a rotazione, semestre dopo semestre, a ciascuno dei 27 membri), non hanno il coraggio di una scelta radicale: e cioè quella di provare a buttar fuori Budapest dall’Ue. Sarebbe un clamoroso autogol oltre che un errore politico capitale: ma almeno mostrerebbe coerenza negli avversari ossessivi di Orbán. I quali - invece - preferiscono una strada più vile e pilatesca: tenerlo dentro, ma tentare di imporgli una membership amputata, zoppa, ridotta.
Qualcosa di inammissibile perfino in una bocciofila: o sei membro o non lo sei, tertium non datur.

IL METODO

Da ieri si sono dunque capite almeno tre cose. Intanto, che non è mai finita una campagna elettorale (ormai resa permanente) per imporre un incivile cordone sanitario contro populisti e sovranisti, come vengono spregiativamente chiamati i partiti che non piacciono alla sinistra. In secondo luogo, è evidente che un’iniziativa sanzionatoria contro Budapest finirebbe per costituire una minaccia nei confronti di qualunque altro governo “sgradito”: si colpirebbe Orbn per recapitare un opaco avvertimento a qualsiasi esecutivo dissonante rispetto agli standard eurolirici.
E poi c’è un terzo elemento: che facciamo a questo punto, criminalizziamo anche gli elettori? Davanti a un’ondata che, dall’Austria alla Germania, vede al 30% i partiti di destra, che si fa? Si tolgono ai cittadini che “votano male” i loro diritti elettorali? Lisi punisce finché non impareranno a “votare bene”? Si tratta di un atteggiamento culturalmente insopportabile e politicamente stupido, che offrirà semmai ancora più consenso e sempre maggior sostegno popolare ai bersagli di un ostracismo tanto ottuso.

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