Come abbiamo lasciato crescere l’antisemitismo dentro di noi
Commento di Stefano Magni
Testata: Informazione Corretta
Data: 08/10/2024
Pagina: 1
Autore: Stefano Magni
Titolo: Come abbiamo lasciato crescere l’antisemitismo dentro di noi

Come abbiamo lasciato crescere l’antisemitismo dentro di noi
Commento di Stefano Magni

Sinagoga Centrale di Milano, commemorazione del 7 ottobre. Ci si interroga sulla rinascita dell'antisemitismo soprattutto dopo il pogrom di Hamas

Il 7 ottobre “si torna a parlare del dolore. Ma è talmente forte questo dolore che, di fronte alla fine della pietà, è molto difficile da mettere a tema. L’immediato antecedente del 7 ottobre è la Shoah. Non ci si può chiedere perché, ma a descrivere come è successo e come è cresciuto. E come ci ha cambiato”. Così esordisce Giuliano Ferrara, fondatore de Il Foglio, alla Sinagoga Centrale di Milano, di fronte a un pubblico di 1500 persone. Fuori ce ne sono altri 500, sotto la pioggia, che attendono di entrare, nel caso si liberi qualche posto. La solidarietà è tanta, inaspettata, per la commemorazione del primo anniversario del pogrom.

Nel pomeriggio di lunedì 7 ottobre, all’evento organizzato dalla Comunità Ebraica, in Sinagoga, non mancano i grandi nomi istituzionali. C’è la senatrice Liliana Segre e il sindaco Giuseppe Sala (alla buon’ora dopo tutte le assenze notevoli che ha fatto). Il presidente della Regione, Attilio Fontana e il presidente del Senato, Ignazio La Russa. C’è Lorenzo Guerini (presidente del Copasir), unico esponente del PD rimasto dalla parte giusta della storia e il ministro dell’Istruzione Valditara, che non le manda a dire sulla moderna educazione al pensiero totalitario.

Ma più che le dichiarazioni di solidarietà, sono le domande senza risposta che continuano ad angosciare. Sono quelle domande elencate da Ferrara: come è successo e come è cresciuto. Le domande riguardano soprattutto il nuovo antisemitismo, che è letteralmente scoppiato dopo il 7 ottobre, non solo là, nel Medio Oriente, ma anche qua, nelle nostre città. Rav Arbib ricorda la sorpresa e lo stupore per quanto stava avvenendo: per il massacro che ha colto tutti alla sprovvista, ma anche per il successivo antisemitismo. “È vero che il 7 ottobre non ‘nasce nel vuoto’, ma nel senso che arriva dopo decenni di insegnamento all’odio. E anche sull’ antisemitismo, qui da noi non abbiamo visto i segnali che erano chiari, come il picco di antisemitismo dopo la Giornata della Memoria”. Il 7 ottobre e la crescita dell’antisemitismo sono dunque da intendersi come dei fallimenti dell’educazione.

“La logica del 7 ottobre è la stessa delle camere a gas – fa notare il ministro Valditara – ed è lo stesso giustificazionismo che diede vita al nazismo”. In pratica si giustifica l’uccisione di innocenti, per un fine superiore. “Questo è totalitarismo – dice Valditara - subordinare le persone a un bene collettivo”.

Non solo l’educazione, ma anche l’informazione è colpevole della diffusione del nuovo antisemitismo. “Il problema dell’informazione è con la verità. In particolare con la verità sul 7 ottobre”, dice Mario Sechi, direttore di Libero, prima di elencare le distorsioni del linguaggio più comuni nella stampa italiana, nei servizi in cui si parla del conflitto in Medio Oriente: Haniyeh, capo terrorista “pragmatico”. Nasrallah “un ministro del welfare, un benefattore”. Sinwar cioè il macellaio di Khan Younes diventa “capo politico”. Si fa un uso distorto, aberrante, della parola “genocidio” di cui è accusato Israele. Nessuno fa notare che chi ha subito un tentativo di genocidio sono gli ebrei. C’è un problema di fonti: possibile dare retta al ‘ministero della sanità di Gaza’? Sembra che non muoiano mai terroristi, ci sono solo vittime civili. Nei tg se va bene si dedica 1 minuto a quel che dice Israele e 1 minuto a Hamas come se fossero sullo stesso piano. Parola magica: cessate il fuoco rivolto solo a Israele non ai suoi aggressori. La parola magica escalation: ogni volta che Israele risponde a Hezbollah o Hamas. I missili iraniani non sono letali: sparisce il dettaglio della schiacciante superiorità tecnologica di Israele”.

Per Klaus Davi l’antisemitismo è cresciuto senza che nessuno se ne occupasse. E questa è colpa della politica. “L’odio alligna nelle moschee – avverte - Sto facendo il giro delle moschee e sono incubatori dell’odio contro Israele”. Con CENSIS ha rilevato il crescente antisemitismo, una crescita continua. Però, ritiene: “Gli antisemiti non sono maggioranza del paese. Sono maggioranza della rappresentazione. Ad esempio: all’Eurovision Song Contesta, la cantante israeliana Eden Golan è stata boicottata dalle élite, ma la gente l’ha votata. C’è una manipolazione all’opera da parte di élite che alimentano l’antisemitismo”.

Mentre per Ilaria Borletti Buitoni (ex sottosegretaria ai Beni Culturali nei governi Letta e Renzi), la responsabilità grave è anche dei movimenti delle femministe: “non solo siamo state incapaci di provare empatia per le vittime, ma dal 7 ottobre abbiamo perso credibilità”. Le femministe non hanno compreso che i valori delle donne sono in prima linea in questo conflitto. Le vittime del 7 ottobre sono le donne vittime dell’integralismo islamico. Ma le femministe “non hanno capito che il 7 ottobre era il momento di schierarsi con Israele. Non siamo andati oltre il formale antifascismo. Non abbiamo il coraggio di difendere Israele. La maggioranza non è contro gli ebrei ma non sa, non fa lo sforzo di voler capire”. Perché l’Occidente è malato di odio di sé, una “malattia autoimmune”.

Anche per Pietro Senaldi, vicedirettore di Libero, la malattia occidentale dell’odio di sé porta anche a odiare Israele. Fermo restando che l’antisemitismo in Italia è sempre stato molto forte, precedeva le Leggi razziali del 1938 ed è sopravvissuto al crollo del fascismo, ci sono altri fattori che lo alimentano di nuovo. “Israele è molto fiero delle sue radici, molto orgoglioso. Sa di avere una missione di difesa dell’Occidente ma in un momento in cui l’Occidente odia se stesso. Israele per questo viene visto con disgusto in un periodo come questo perché non autolesionista e non si giustifica per aver fatto fiorire il deserto”.

Certo, 1500 persone ad assistere, nonostante la pioggia, la paura di attentati testimoniata dalla presenza massiccia della polizia, sono un bell’atto di solidarietà, almeno per ricordare le vittime del 7 ottobre e gli ostaggi che sono ancora nelle mani di Hamas. Ma come constata, con la sua consueta amara ironia, anche Daniele Capezzone (condirettore di Libero), “Anche un amico sincero, in buona fede, che amico sarebbe se ci testimoniasse la sua amicizia in modo concreto solo una volta all’anno? Quella volta all’anno solitamente era il 27 gennaio, adesso aggiungiamoci una seconda volta il 7 ottobre. Ma un anno è fatto di 365 giorni”.

Stefano Magni

 

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