Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 06/10/2024, a pag. 4, lettera di Roberto Cenati dal titolo: "Il silenzio dei progressisti sulle manifestazioni pro Hamas".
Al direttore - Fra pochi giorni ricorre l’anniversario del pogrom antiebraico del 7 ottobre, data in cui si è registrato contro Israele, da parte di Hamas, l’attacco più grave nella sua storia dopo la Shoah. I terroristi di Hamas si sono resi responsabili dell’uccisione a sangue freddo di 1.200 cittadini inermi, di violenze di ogni tipo, del rapimento di 250 cittadini israeliani tenuti in ostaggio e del più terribile stupro di massa dei nostri tempi, a danno delle ragazze israeliane. La guerra nella Striscia di Gaza sembra aver fatto dimenticare le responsabilità di Hamas, che non si è mai preoccupata del benessere della popolazione palestinese. Basti vedere come i finanziamenti arrivati in tutti questi anni a Gaza sono serviti a Hamas per costruire i suoi quartieri generali e chilometri di gallerie sotto alle infrastrutture civili, sotto ospedali, moschee, scuole, facendosi scudo dei civili palestinesi, durante i bombardamenti israeliani. Il governo israeliano si prefigge l’annientamento di Hamas che nel suo statuto prevede la distruzione di Israele e l’eliminazione degli ebrei, ma non ha come obiettivo la distruzione fisica sistematica e totale del popolo palestinese, né le altre misure prefigurate nel termine genocidio, termine ideato dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin che sfuggì ai nazisti rifugiandosi prima in Svezia e poi negli Stati Uniti. Sdoganare un termine del genere fa sì che il passaggio successivo sia equiparare la tragedia della Shoah, che costituisce l’orribile paradigma della categoria di genocidio, a quello che sta facendo Israele. Ma sono situazioni incomparabili. E’ inaccettabile usare la logica della “vittima che diventa carnefice”, perché non fa altro che alimentare la deriva antisemita che, anche in Italia, sta crescendo in misura molto preoccupante. Così come è sbagliato pronunciare lo slogan “dal fiume al mare, Palestina libera”, slogan che viene scandito nelle manifestazioni palestinesi che percorrono da mesi, ogni sabato, le vie di Milano, perché dà per scontata la non esistenza di Israele, negando l’obiettivo di due popoli in due stati, per il quale la diplomazia internazionale sta lavorando. Ci eravamo illusi che dopo la Shoah tutto fosse superato. Ma non è stato così. Immediatamente dopo il 7 ottobre, prima ancora della reazione israeliana, abbiamo registrato un aumento esponenziale dell’antisemitismo. Oggi più che mai assistiamo a un ritorno di elementi antichi. E nonostante abbia cambiato nome nel tempo – da antigiudaismo come odio di stampo religioso ad antisemitismo come ostilità antiebraica di stampo razzista a cui si accompagna la negazione o la relativizzazione della Shoah, l’odio antiebraico presenta aspetti mai sopiti. Altro dato evidente è rappresentato dal fatto che tutte le persecuzioni e i massacri a cui sono stati assoggettati gli ebrei non hanno mai suscitato empatia, simpatia o reazioni nelle persone a loro vicine. L’indifferenza, di cui parla sempre Liliana Segre parlando delle leggi antiebraiche del 1938 e della Shoah, è in realtà una storia antichissima. Siamo di fronte a un clamoroso fallimento educativo, nonostante le numerose iniziative che ogni anno si svolgono nella ricorrenza del Giorno della memoria. Occorre rilanciare lo studio, la riflessione sotto il profilo culturale e storico soprattutto verso le giovani generazioni. E’ per me particolarmente doloroso constatare la disinformazione e la violenza degli attacchi rivolti a Israele. Manca una riflessione approfondita, sul piano storico e culturale, sul ruolo e l’importanza di uno stato democratico come Israele nell’area mediorientale. Israele costituisce per tutti noi un fondamentale presidio di libertà e democrazia. Spero sempre che i cittadini israeliani rapiti il 7 ottobre e ancora in ostaggio nelle mani dei terroristi di Hamas possano tornare nelle loro case.
Roberto Cenati
Grazie della sua lettera, gentile Cenati. Capiamo bene perché, mesi fa, scelse di dimettersi da presidente dell’Anpi, quando l’associazione scelse di partecipare a una manifestazione contro “il genocidio” a Gaza. E sarebbe bello che le sue parole lucide fossero un monito anche per il nostro mondo progressista, che oggi, di fronte alla celebrazione di Hamas che avverrà nella manifestazione di Roma, dovendo scegliere se stare dalla parte della libertà di elogiare i terroristi o dalla parte della legalità ha scelto di stare in mezzo. E mai come in questo caso scegliere di non scegliere significa già aver fatto una scelta. Una scelta triste. Grazie.
Claudio Cerasa
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