Se chi scende in piazza calpesta la democrazia
Commento di Elena Loewenthal
Testata: La Stampa
Data: 04/10/2024
Pagina: 23
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: Se chi scende in piazza calpesta la democrazia

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/10/2024, a pag. 23, con il titolo "" il commento di Elena Loewenthal.


Elena Loewenthal

Non è una questione di libertà di manifestazione. La marcia su Roma indetta dalle associazioni pro-Pal per il prossimo 5 ottobre, è apologia del terrorismo e quindi un insulto alla democrazia. Non si può parlare di deriva illiberale del nostro paese, semmai c'è una forte deriva antisemita.

No, non è una questione di libertà di manifestare né di incostituzionalità del divieto: la libertà e la democrazia si fondano per principio su delle regole e sul rispetto di quelle regole, come ha detto anche Yousef Salman, presidente della comunità palestinese di Roma e del Lazio. Se la Questura e il Tar hanno deciso che la manifestazione pro Palestina del 5 ottobre non si può fare per ragioni di sicurezza e opportunità, tutto ciò non ha nulla a che vedere con una presunta deriva illiberale del nostro paese, è una questione specifica e ben definita, con dei confini chiari e precisi che non mettono minimamente a repentaglio la libertà di nessuno.

E no, non c'entra neanche la deriva di antisemitismo che purtroppo è una scia tossica, un'onda lunga che non accenna a mollare, è anzi sempre più esplicita e sfacciata, fra liste di proscrizione, minacce più o meno larvate, leoni da tastiera allo sbaraglio – bisognerebbe prima o poi semplicemente contare quante volte ogni giorno sui social, anche soltanto in italiano, si invocano lo sterminio di tutti gli israeliani e tutti gli ebrei del mondo e l'auspicio a vederli sparire dalla faccia della terra nel modo più violento possibile. Questa roba fa ormai parte del frasario digitale comune, non più degna non dico di orrore ma neanche di una alzata di spalle. Anche se è tutto scandaloso, terribile.

No, neanche l'antisemitismo, neanche l'idea malsana che lo stato d'Israele andrebbe cancellato dalla carta geografica insieme a tutti i suoi abitanti, come se non fosse uno stato legittimo nato da una risoluzione delle Nazioni Unite, uno stato dove vivono milioni di persone di colori, etnie, confessioni religiose diverse, non è neanche solo questo a rendere quanto meno inopportuna la manifestazione pro Palestinese di sabato 5 ottobre a Roma.

C'è dunque qui un tema di rispetto di quella libertà che è tale solo nel rispetto delle regole emanate dalle autorità competenti, c'è un tema culturale e sociale che è il rischio di fomentare con questa manifestazione un antisemitismo neanche sempre più evidente, che strumentalizza un terribile conflitto per dare la stura a pregiudizi tanto atavici quanto capaci di rigenerarsi, per cui lo stato d'Israele e gli ebrei del mondo tornano ad essere carne buona per i forni crematori. No, il corteo pro Palestina del 5 ottobre va vietato non tanto o non soltanto per un tema di ordine pubblico e di prevenzione del pregiudizio, ma per ben altra ragione.

Il 7 ottobre del 2023 mille e duecento persone sono state massacrate in un modo inenarrabile. In quel momento Israele era fuori da Gaza, si era ritirata diciotto anni prima. I terroristi non hanno guardato in faccia nessuna di quelle mille e duecento persone trucidate entro i confini che l'ONU ha sancito per lo stato ebraico nel novembre del 1947: hanno ucciso uomini, donne, bambini, giovani e vecchi, ebrei, mussulmani, cristiani, di svariate nazionalità. Quella cosa lì, che è successa il 7 ottobre, si chiama pogrom.

Tutto questo è stato, così come la guerra terribile, ingiusta e dall'inaccettabile costo umano venuta dopo. Riconoscere il 7 ottobre non significa negare l'orrore venuto dopo. Pensare di sfilare in corteo alla vigilia di quell'anniversario che tutti noi, ebrei del mondo e israeliani, aspettiamo con un misto di paura e sgomento, e magari fare uscire da quel corteo qualcuna di quelle solite frasi che inneggiano alla morte degli ebrei e degli israeliani, quei soliti auspici a buttarci tutti a mare in allegria, è un'offesa alla nostra comune umana natura prima ancora che al rispetto delle regole che ogni libertà impone. È una questione di sensibilità umana, che è il minimo comune denominatore del vivere insieme. Che ci sia, intorno al prossimo 7 ottobre, almeno un poco di pietoso silenzio. Almeno quello.

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