Riprendiamo da SHALOM online l'analisi di Ugo Volli dal titolo "Il fallimento dell’attacco iraniano e le sue conseguenze".
Missili fuori bersaglio
L’attacco con cui l’Iran si riprometteva di raddrizzare la situazione pericolante del suo ”Asse della resistenza” e di “punire” lo smantellamento di Hezbollah e l’eliminazione del suo leader Nasrallah, è miseramente fallito. I 180 missili balistici, sparati in due ondate sul centro di Israele, e gli sciami di droni usati per coprirne la traiettoria, sono stati quasi tutti abbattuti dalla contraerea israeliana, con l’aiuto, questa volta abbastanza secondario, degli americani. Vi sono stati dei danni ad alcune case, ma i loro abitanti si erano protetti nei rifugi come raccomandato dai comandi militari. Diversi proiettili sono finiti in mare, su campi disabitati e nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese, dove c’è stata la sola uccisione: un palestinese colpito a Gerico, per l’ironia della sorte proveniente da Gaza. Le uniche vittime israeliane di ieri sera sono state provocate purtroppo da un attacco terroristico vecchio stile, effettuato a Giaffa, l’antica città portuale vicino a Tel Aviv, da una coppia di terroristi palestinesi con armi automatiche.
Le ragioni del fallimento
Il risultato insomma non è diverso da quello ottenuto dagli ayatollah l’aprile scorso, per vendicare il colpo israeliano su una riunione terrorista in un edificio accanto alla loro ambasciata di Damasco, dove era rimasto ucciso Mohammad Reza Zahedi, il capo della milizia dei pasdaran per il Medio Oriente. Anche allora la sola persona colpita era stata una bambina beduina nel Negev e l’attacco aveva fatto solo molto fracasso e pochissimi danni veri. È difficile dire se questo fallimento derivi dall’incapacità delle forze missilistiche iraniane, da una sottovalutazione della capacità di autodifesa israeliana o da una scelta di fare un attacco solo dimostrativo, come alcuni sostengono, per segnalare che l’Iran non vuole una guerra vera. In ogni caso si tratta di una certificazione di impotenza che non resterà senza conseguenze in un ambiente che non perdona la debolezza, come il Medio Oriente. Dopo aver visto distrutta la forza militare di Hamas a Gaza e fortemente indebolita quella di Hezbollah, mentre le forze di terra israeliane avanzano in Libano e quelle aeree continuano a smantellarvi i depositi di armi e missili, non solo la reazione di Hezbollah è stata finora molto più debole di quel che si temeva, ma anche l’attacco iraniano non ha funzionato. Non bisogna farsi troppe illusioni, perché l’Iran è un grande Paese con una popolazione dieci volte più grande di quella di Israele e un’industria militare che oggi è la principale fonte di armamenti per la Russia. Ma sembra chiaro che non solo questa battaglia, ma l’intera strategia di logorare e distruggere Israele per mezzo dei gruppi terroristi, sia fallimentare.
Israele può rispondere
“L’Iran ha fatto un grave errore e ne pagherà le conseguenze”, ha dichiarato il primo ministro Netanyahu alla fine del gabinetto di guerra convocato per valutare la situazione alla fine dell’attacco. L’errore sta non solo nel fallimento dell’attacco, ma nell’attacco stesso. Israele a questo punto ha l’occasione perfettamente giustificata sul piano politico e legale di colpire non i tentacoli, ma la testa stessa della piovra terrorista, il centro di comando di tutti i fronti aperti contro lo Stato ebraico. Ad aprile la risposta di Israele all’attacco dell’Iran fu solo un segnale: il bombardamento delle installazioni antiaeree di un impianto nucleare ben dentro il territorio dell’Iran significava che Israele poteva penetrare fino ai siti militari meglio difesi e che per il momento si asteneva dal colpirli, anche per le pressioni americane. Ora queste pressioni perché Israele non reagisca probabilmente si stanno ripetendo con la stessa intensità, ma la situazione politica negli Usa e anche quella strategica in Medio Oriente sono assai diverse. Israele ha sconfitto Hamas, anche se restano notevoli focolai terroristi; ha ridimensionato la maggiore fonte di deterrenza dell’Iran, cioè l’armamento di Hezbollah, così vicino allo stato ebraico e così abbondante da creare serie preoccupazioni; ha anche dimostrato di poter bloccare gli attacchi missilistici dallo Yemen e dall’Iran. In America le elezioni si avvicinano, l’amministrazione Biden e la candidata Harris si sentono più vincolati al giudizio di un elettorato che continua a essere notevolmente pro-Israele e dunque non possono seguire le spinte anti-israeliane che pure sono potenti nel partito democratico.
I possibili obiettivi
Che succederà ora? Se Israele si sentirà libero di rispondere all’aggressione degli ayatollah, senza doversi limitare di nuovo ad atti simbolici, cercherà però anche di non mettersi contro il popolo persiano, che considera amico e insofferente della dittatura clericale. Dovrà dunque escludere rappresaglie sulle città e sulle installazioni civili. Ci sono quattro gruppi di obiettivi possibili. Il primo e il più importante sono le installazioni del programma nucleare. L’Iran è vicinissimo alla bomba atomica e se riuscisse a realizzarla questo cambierebbe drasticamente in peggio tutta la situazione strategica del Medio Oriente e forse del mondo. Anche qualche giorno fa all’Onu Netanyahu ha ribadito l’impegno di impedirlo. Il secondo obiettivo sono invece gli impianti portuali da cui l’Iran deve far passare il proprio petrolio, che è la principale fonte di finanziamento per il regime. Sono istallazioni ben note e fragili: oleodotti, depositi di carburante, raffinerie, pozzi. Il terzo obiettivo potrebbero essere gli impianti militari e in particolare quelli missilistici. E il quarto i luoghi del potere e le residenze dei principali dirigenti, che Israele potrebbe colpire come ha fatto a Beirut e Damasco. Naturalmente non possiamo sapere quando e dove Israele colpirà. Ma è chiaro che questa è la partita decisiva di questa guerra, che potrebbe cambiare in meglio tutto il Medio Oriente, eliminando la minaccia terroristica, favorendo finalmente un cambio di regime in Iran e una pace fra Israele e il mondo arabo.
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