Ci sono guerre che vale la pena combattere
Editoriale di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 03/10/2024
Pagina: 1/5
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Ci sono guerre che vale la pena combattere

Riprendiamo da LIBERO di oggi 03/10/2024, a pag. 1/5, con il titolo "Ci sono guerre che vale la pena combattere", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Un missile iraniano caduto su Israele. Prima di tutto è bene ammettere che il nemico esiste: l'Islam fanatico ci vuole morti, sia in Medio Oriente che ovunque. L'obiettivo israeliano non è solo quello di distruggere Hamas, ma di colpire la testa di tutte le organizzazioni terroristiche che è in Iran. In questo Israele fa anche il nostro interesse.

Qui a Libero abbiamo ben presente quanto sia facile attestarsi su generiche quanto comode posizioni “per la pace in Medio Oriente”, “per la de-escalation”, “per l’invito alla moderazione di entrambe le parti”, e altre formule – sia consentito – piuttosto vaghe e fumose, anche quando esposte in buona fede. Si scaldano i cuori (altrui) e contemporaneamente si scaricano le coscienze (proprie). Figurarsi: chi mai può essere “per la guerra”?
Ma onestà intellettuale impone di non essere reticenti e di raccontare tutta intera una scomoda verità. La storia ce lo insegna: una serie di guerre non chiuse o chiuse male ha prodotto una scia di successivi conflitti. Quando una ferita resta aperta, può solo diventare purulenta, altro che guarigione.
Non solo. Se nel racconto di un conflitto o di una tensione geopolitica ci si limita all’ultimo pezzetto, all’ultimo scorcio temporale, diventa facile il giochino retorico di appellarsi a entrambe le parti, come se si trattasse di sedare una lite tra adolescenti rissosi. E invece no: occorre raccontarla tutta la storia per coglierne il senso, per non averne una comprensione solo parziale e limitata.
Come fai a capire le vicende di queste ore dimenticando un evento devastante come il 7 ottobre 2023? 1200 civili israeliani massacrati, inclusi bimbi e neonati nelle loro culle, oltre 250 persone rapite, in una logica perversa da pogrom, o da “piccolo Olocausto”.

LE BELVE E IL MANDANTE

A operare materialmente furono le belve di Hamas (che hanno nello statuto l’obiettivo di distruggere Israele), e a dare l’ok provvidero i vertici del regime iraniano, che – oltre a opprimere il proprio popolo – da anni avvelenano l’intera area, alimentando i tentacoli della piovra terrorista, mentre contemporaneamente cercano di far avanzare un programma nucleare finalizzato a cancellare Israele dalla faccia della terra.
Nei giorni successivi al 7 ottobre, tutti – da Washington a Bruxelles – si dissero concordi sull’obiettivo di distruggere Hamas, di neutralizzare Hezbollah, di mettere fuori causa le centrali del terrore. Oggi invece chi vuole fermare l’esercito di Gerusalemme sta oggettivamente offrendo un salvacondotto ai terroristi, oltre che un puntello al regime degli ayatollah di Teheran proprio nel momento in cui la sua fragilità è più evidente e scoperta.
Ecco dunque il racconto intero e non smozzicato: adesso Israele ha deciso di mettere il nemico in condizione di non nuocere più. Dopo aver sgominato sul campo Hamas e dopo aver decapitato i vertici di Hezbollah, Gerusalemme vuole esplorare (ipotesi maggiore) le possibilità di implosione del regime di Teheran, e in ogni caso (ipotesi minore) intende minarne le ambizioni nucleari.

RICORDATE LA FALLACI?

È l’ora di dire che Israele e Netanyahu hanno perfettamente ragione. Primo: ci ricordano (spirito di Oriana Fallaci, aiutaci tu) che il nemico esiste, che l’islam integralista vuole ucciderci e sottometterci, sia qui sia lì, e – dunque – che esistono anche guerre giuste, quando i fondamentalisti sono in condizione di arrecare danni irreparabili.
Secondo: Gerusalemme ci ricorda – come accennavo – che queste guerre giuste vanno concluse e soprattutto vinte. Occorre respingere l’argomento di comodo secondo cui sarebbe “impossibile” eliminare Hamas, Hezbollah e le altre forze del male. Questo non è vero: lo ha dimostrato il successo militare conseguito finora dagli israeliani a Gaza. Semmai, negli anni passati (si pensi alle timidezze che a lungo hanno frenato Barack Obama contro l’Isis) è proprio quel tipo di argomento che ha legato le mani all’Occidente.
La storia ha invece dimostrato che dal 2016 in poi Isis è stata fatta fuori da Mosul e da Raqqa.
Certo, se oggi invece figure di vertice del sistema Onu continuano a negare il carattere terroristico di Hamas e Hezbollah, è evidente che qualcuno intenda salvare i vertici di quelle organizzazioni, anziché contribuire alla loro eliminazione o cattura.

DUE STATI E UNA CONDIZIONE

Terzo: Israele e Netanyahu ci ricordano, rispetto alla vicenda palestinese, che è troppo facile continuare a ripetere la soluzione dei “due stati” senza trarne tutte le conseguenze. Se infatti uno dei due stati dovesse continuare a essere controllato da gruppi terroristici telecomandati da Teheran, quale sarebbe la percorribilità dell’ipotesi e la possibilità di convivenza fianco a fianco delle due entità statuali? Nessuna, di tutta evidenza.
Ecco perché sradicare le forze del terrore è la precondizione per rendere possibili anche i due stati. Chi non lo comprende o è molto ingenuo o è molto complice.
Per tutte queste ragioni, Israele sta certamente combattendo per sé. Ma lo sta facendo anche per tutti noi, per opporre un argine alla prospettiva di una sharia globale, cioè al trionfo su larga scala del fondamentalismo.
Già sento lo scandalo delle anime belle per questo paragone: Netanyahu, di cui non ci sfuggono gli errori politici e le responsabilità del passato, si sta muovendo in tempo di guerra come un Churchill dei nostri anni, e combatte per l’intero Occidente. A volte, nel suo caso, nonostante lo stesso Occidente.

Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@liberoquotidiano.it