Riprendiamo da LIBERO di oggi, 01/10/2024, a pag. 11 con il titolo "Gli ayatollah sull'orlo del baratro. Bibi agli iraniani: 'sarete liberi'" il commento di Giovanni Sallusti.
Giovanni Sallusti
A un anno di distanza, l’azzardo degli ayatollah (scatenare il pogrom dei sicari di Hamas e quindi la guerra totale allo Stato ebraico) si sta traducendo sempre di più nel crepuscolo che incombe sulla loro tirannia teocratica e omicida. Per chi coltivasse ancora qualche dubbio (spesso interessato, del resto l’intellighenzia occidentale sta coi tagliagole fin dalla corrispondenza d’amorosi sensi tra filosofi come Michel Foucault e l’ayatollah Khomeini), ieri è arrivata la sparigliata comunicativa definitiva di Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano ha diffuso un videomessaggio in cui si rivolge direttamente «a voi, al popolo iraniano». «Con ogni momento che passa, il regime vi sta portando, nobile popolo persiano, più vicino all'abisso. Se gli importasse di voi, smetterebbe di sprecare 1 miliardo di dollari in guerre feudali in tutto il Medio Oriente». Ma «quando l'Iran sarà finalmente libero, e quel momento arriverà molto prima di quanto la gente pensi, tutto sarà diverso. I nostri due popoli antichi, il popolo ebraico e il popolo persiano, saranno finalmente in pace». E poi la conclusione esplicita, irreversibile, una dichiarazione d’intenti che è anche un invito a resistere ancora: «Il popolo iraniano deve sapere che Israele è al vostro fianco».
È quasi una risposta, quella di Netanyahu, ai numerosi, titanici atti di coraggio che in queste ore i dissidenti iraniani, giovani in testa, stanno mostrando sui social e perfino nelle piazze del Paese. Ragazze temerarie che si filmano mentre brindano all’uccisione di Nasrallah (femministe nostrane con l’ubbia antioccidentale, prima vergognatevi, poi prendete appunti), scritte «grazie Israele» che compaiono sui muri di Teheran, attivisti che non rinunciano a rischiare la vita (come la “patriota” Yaar Dabestaani che su X scrive: «Israele ha messo un sorriso sul volto di milioni di iraniani»). Sotto il fumo delle bombe anti-bunker israeliane, oltre alle imprese criminali del capo di Hezbollah, è andato in frantumi anche il grande tabù: il crollo della dittatura. La possibilità di recidere la testa della Piovra islamista, oltre a colpire pesantemente i suoi tentacoli. La Repubblica Islamica non è mai stata così debole. I suoi proxy sono letteralmente disarticolati. Hamas è allo stremo, pigiata nella parte meridionale di Gaza, molti tunnel sono stati bonificati e Sinwar è condannato a un’esistenza fantasmatica. Hezbollah è decimato nella sua gerarchia, impoverito nei suoi arsenali, fiaccato nella sua retorica combattente e nella sua tenuta psicologica (vedi operazione dei “cercapersone”). Ma la stessa casa-madre del Terrore, lo stesso Iran totalitario, da quando ha alzato drammaticamente la posta con “l’entità sionista” si sta rivelando sempre più una tigre di carta. Anzitutto, c’è stato Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, eliminato da Israele mentre si trovava a Teheran, alla cerimonia d’insediamento del presidente Masoud Pezeshkian, in teoria nella situazione più sicura possibile, a fianco del grande protettore. E il sospetto che sia stato venduto da pezzi dell’apparato iraniano comprati e/o infiltrati non fa che rendere ancora più fragili gli ayatollah (anche l’informativa sulle coordinate del nascondiglio di Nasrallah potrebbe avere questa genesi, e sarebbe il segno di una penetrazione esiziale da parte del Mossad). Ieri poi è arrivata una dichiarazione ufficiale del Ministero degli Esteri, totalmente contraria alla narrativa incendiaria della Guida Suprema Khamenei: l’Iran non schiererà proprie truppe in Libano (sottotesto: non può permetterselo, non regge una guerra frontale, tantopiù con lo spettro delle portaerei americane nel Golfo). Per sovrappiù, l’ultimo stratagemma oratorio di Khamenei, la chiamata all’«unità di tutti i musulmani» contro lo Stato ebraico, ha sortito zero effetti. Anzi: in molti Paesi sunniti si è dichiaratamente festeggiata la fine di Nasrallah, e in alcuni momenti-chiave (vedi la “tempesta di droni” lanciata da Teheran contro Israele) l’Arabia Saudita ha perfino discretamente assicurato supporto logistico e d’intelligence a Gerusalemme.
Unendo i pezzi del mosaico, sullo sfondo non può che affacciarsi quella che per le anime belle terzomondiste è una parolaccia, per qualunque uomo libero dotato di neuroni un auspicio: “regime change”. Fine dell’incubo coranico, il “grande popolo persiano” che torna padrone di sé, le sue donne che tornano ad autodeterminarsi nel corpo e nell’intelletto, il petrolio che torna sinonimo di benessere e non di banda armata. È una finestra che sta schiudendo la Storia, nient’affatto una certezza. Sulla sua realizzabilità, è in ballo anche la nostra coscienza, di noi occidentali accomodati nel privilegio che guardiamo lo Stato degli ebrei tenere la trincea contro la Piovra, la trincea che è anche nostra. E dove noi dobbiamo quantomeno palesarci culturalmente, mediaticamente, con una percezione chiara e distinta di dove sta la libertà e dove sta la barbarie.
Molto più che a noi stessi, lo dobbiamo a quei ragazzi e a quelle ragazze a volto scoperto contro l’orrore islamista.
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