Riprendiamo da LIBERO di oggi 01/10/2024, a pag. 1/8, con il titolo "Parte la demonizzazione dei vincitori austriaci", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Qualche anno fa, tra il serio e il faceto, provai a mettere nero su bianco una sorta di surreale “protocollo” in cinque punti invariabilmente seguito da quello che potremmo chiamare il Corrispondente Collettivo, l’Inviato Unico, in occasione di qualunque elezione di ogni ordine e grado in un paese estero.
Primo punto: interessarsi poco dei problemi reali davvero avvertiti dai cittadini di quella nazione, limitandosi a scambiare opinioni – rigorosamente nella capitale, mai nelle aree periferiche – con i giornalisti locali di orientamento progressista. Secondo punto: proclamare la “sorpresa” la sera delle elezioni, quando ovviamente i risultati si incaricano di smentire gli schemini politicamente corretti. Terzo punto: demonizzare il vincitore, regolarmente descritto come un orrendo fascista. Quarto punto: criminalizzare pure gli elettori, automaticamente trasformati in “onda nera”, in “marea populista”. E infine, quinto punto: cambiare Paese e ricominciare dal punto uno.
Anche nel caso del voto in Austria, questo pazzotico protocollo è stato rispettato alla lettera. Prendete Repubblica di ieri. Prima pagina: «L’Austria si tinge di nero».
Pagina 2: «L’onda nera dell’Fpo». E così via in un climax di razzismo-sangue-terrore. Appare addirittura tragicomico, in questo senso, il fatto che, di nuovo in prima pagina, l’allarme antisemitismo in Italia sia stato infilato da Rep come sommario del titolo principale sulle elezioni in Austria. Omettendo il piccolo “dettaglio” che, da Milano a Roma, le nostre comunità ebraiche siano oggetto di minacce e offese da parte di italianissimi estremisti di sinistra, non da austriaci di destra. Ma tant’è.
E allora siamo sempre al solito punto, già ampiamente affrontato da Libero nel caso della recente vertiginosa ascesa dei tedeschi di AfD. Certo che molti aspetti della proposta programmatica di Afd e Fpo non hanno certo connotazioni liberali, e meno che mai i toni dei loro principali esponenti: su questo non c’è dubbio.
ERRORE REITERATO
Ma come si fa – per altro verso – a commettere sempre lo stesso doppio clamoroso errore? Il primo riguarda i cittadini. Vogliamo veramente trattare quote via via maggiori di elettori come orrendi nazisti? Davvero pensiamo che, nel 2024, un tedesco su tre e un austriaco su tre siano nostalgici di Hitler? Vogliamo qualificare le richieste di minori tasse e immigrazione più controllata come istanze di “ultradestra”? Chiunque commetta questa rozza semplificazione rischia più che altro di mostrarsi come un soggetto scollegato dalla realtà. Anche in Italia, è sufficiente un giro in metro, in bus, al bar, per sapere che proprio queste (sicurezza, immigrazione, tasse) sono alcune delle preoccupazioni più forti dei cittadini. Un politico saggio cercherebbe di ascoltarle, di tradurle in iniziativa, di interpretarle in modo intelligente, di offrire risposte praticabili, naturalmente anche di orientarle e filtrarle. Ma negarle, anzi bollarle in modo sprezzante significa letteralmente guidare contromano in autostrada.
Il secondo errore – pendant logico del primo – riguarda i partiti e le classi dirigenti. Anziché tentare di includere e coinvolgere le forze emergenti (fu la grande missione svolta nel 1994 da Silvio Berlusconi verso Lega e Msi, poi divenuto An), il riflesso dei maestrini politicamente corretti è sempre quello dell’esclusione, del “cordone sanitario”, del trattare i vincitori come se fossero moralmente lebbrosi. Risultato? Alle elezioni successive, l’elettorato di sposta ancora più a destra. Pensate proprio al caso austriaco: qualche anno fa, il giovane cancelliere si chiamava Sebastian Kurz, ed era collocato in Europa nell’area del Ppe. Figura a sua volta discutibile, per certi versi: ma contro di lui partì una mostrificazione fuori misura, un’accusa di impresentabilità, una caccia alle streghe. Seguirono poi, all’italiana, attacchi giudiziari e accuse di corruzione che lo misero definitivamente fuori gioco. Risultato? Pochissimi anni dopo, l’elettorato ha formulato una domanda politica ancora più spostata a destra, trovando una corrispondente offerta politica.
RESPONSO DELLE URNE
Ora, da queste parti non siamo così grossolani da proclamare un banale vox populi, vox dei: sappiamo bene che la storia è piena di errori fatali commessi dagli elettori. Ma la regola fondamentale della democrazia è che si debba partire dal responso popolare, che occorra ascoltarlo e rispettarlo, e che i vincitori – come princìpio – debbano potersi misurare con l’onore e l’onere delle responsabilità di governo. Non di rado (si pensi al caso grillino) è proprio quella prova che li schianta, che li mostra nella loro reale inconsistenza. In altri casi, invece, l’esperimento funziona. Ma resta un punto di fondo: l’idea di separare kratos e demos, cioè il potere e la sua fonte popolare, è sbagliatae pericolosa. Mostra un sostanziale disprezzo verso il cuore della democrazia e verso i sentimenti dei cittadini: e in ultima analisi li induce a scelte ancora più rabbiose la volta successiva. Ci pensino gli autoproclamati membri delle “giurie di qualità” che, come nei Festival di Sanremo meno riusciti, avrebbero la pretesa di ribaltare sistematicamente il voto popolare.
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