Ex-bollah. Ma in Occidente troppi sono in lutto
Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 29/09/2024
Pagina: 1/5
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: In Occidente troppi in lutto per il boia

Riprendiamo da LIBERO di oggi 29/09/2024, a pag. 1/5, con il titolo "In Occidente troppi in lutto per il boia", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Siriani in festa per la morte di Hassan Nasrallah. Sono immagini che difficilmente vedrete nei media italiani che invece sembrano listati a lutto dopo la morte del capo dei terroristi Hezbollah.

No, non ve li mostreranno. Tranne poche e meritorie eccezioni, c’è da scommettere che non vedrete i video – virali in rete – delle piazze mediorientali in festa dopo la notizia dell’eliminazione della belva sanguinaria Nasrallah e dei suoi compari più stretti.
Eppure è una notizia: gente che canta, che balla, che sorride. Sì, è tutto vero. Dal Libano alla Siria, migliaia di persone hanno esultato perché sapevano bene cosa fossero Nasrallah e i suoi accoliti di Hezbollah: oppressori feroci, assassini spietati e fanatici, autentiche calamità per la loro stessa gente, oltre che persecutori di dissidenti (non solo di “infedeli”), segregatori di donne, aguzzini di omosessuali. Nasrallah e i suoi hanno solo prodotto morte, dolore e povertà per centinaia di migliaia, anzi per qualche milione di esseri umani.
E invece – dalle nostre parti – in troppe redazioni e in molte cancellerie occidentali, si respira quasi un’aria di lutto: qualche balbettio, un enorme imbarazzato silenzio, rotto da comunicati asettici e vaghi di non poche diplomazie («non sapevamo dell’azione israeliana», «abbiamo appreso...»), o da servizi giornalistici più o meno consapevolmente costruiti dal punto di vista dei regimi mediorientali o peggio degli stessi gruppi estremisti.
Per non dire di chi – fino alla vigilia – ci presentava Nasrallah come uno «stratega astuto», o apologeti che magnificavano nientemeno che il «welfare», la «formazione» e i «servizi sociali» assicurati da Hezbollah, descritta grosso modo come una grande ong.
O analisti maestri di ambiguità pronti a offrirci ritratti «complessi», a restituirci una figura «tormentata», l’immagine di un «resistente». Semplicemente pazzesco: significa aver perso il senso del bene e del male, aver completamente smarrito la bussola.
Così come i soliti “esperti” che ieri si sono affrettati a sostenere che «adesso», nell’area, si rischierebbe l’allargamento del conflitto o la mitica “escalation”. Ah sì? Perché finora (7 ottobre incluso) si era forse scherzato? Semmai è ora, con la cupola di Hezbollah rasa al suolo, che forse il Libano ha davanti una prima – va detto: tenuissima – speranza, e ce l’ha grazie a Israele.
Tra l’altro, pensateci. Subito dopo il 7 ottobre, sull’onda dell’orrore e dell’emozione suscitati da quell’atroce pogrom anti-israeliano, ci erano stati ripetuti ossessivamente tre concetti da parte di chi (ora lo sappiamo: con ipocrisia e animo insincero) esprimeva formali e frettolose condoglianze al popolo ebraico.
Primo. Dicevano: nessuno è pro Hamas (o, su un altro piano, pro Hezbollah), semmai ci esprimiamo a favore del popolo palestinese. Secondo.
Scandivano: servono raid mirati e azioni di intelligence contro i capi dell’organizzazione terroristica. Terzo. Concludevano: bisogna distruggere Hamas, Hezbollah e le altre reti dell’estremismo affinché mai più possano ripetersi pagine del genere.
Noi sappiamo bene (e lo sapevamo da sempre) che purtroppo non tutti quei tre obiettivi erano materialmente raggiungibili: in particolare, come dimostra la storia dei mesi passati, non sarebbe stato possibile salvaguardare del tutto i cittadini di Gaza, vista la scelta criminale degli estremisti islamici di usare la propria stessa gente come un immenso scudo umano. E dunque era inevitabile che anche la popolazione civile palestinese pagasse un prezzo elevato: da mettere tuttavia – moralmente – sempre sul conto di Hamas, responsabile del sangue versato tanto dagli ebrei quanto dagli stessi palestinesi.
Sta di fatto che però, una volta completato il grosso delle operazioni a Gaza, più tardi, cioè nelle azioni israeliane degli ultimi mesi, si sono perseguiti esattamente quei tre obiettivi, con ammirevole coerenza e disciplina.
Pensate alla recente eliminazione in Iran di uno dei supercapi di Hamas (Ismail Haniyeh), poi all’azione tecnologica (su cercapersone e walkie-talkie) che ha individuato e stroncato le possibilità di comunicazione dei terroristi di Hezbollah, e infine all’eliminazione del boss Nasrallah.
In altre parole, Israele ha lavorato per decapitare le due organizzazioni e auspicabilmente per avviarle alla distruzione. In un contesto di minima onestà intellettuale, anche a sinistra, anche da parte dei nemici politici e mediatici di Benjamin Netanyahu, si sarebbe dovuta riconoscere l’efficacia e soprattutto la corrispondenza dei raid israeliani a quei tre principi ispiratori.
E invece no. Buona parte delle cancellerie occidentali, così come dei media e dei commentatori italiani, stanno in lutto, soffrono, non si danno pace. E, con eccezioni che si contano sulle dita di una sola mano, il panorama mediatico oscilla dalla freddezza verso Israele a un incredibile tentativo di addossare a Gerusalemme tutte le responsabilità passate, presenti e future. Con un rovesciamento delle cose che lascia basiti: uno stato democratico viene fatto oggetto di un trattamento di mostrificazione, mentre i mostri veri – cioè i terroristi islamici – sono trattati in guanti bianchi.
Del resto, accadde anche al momento dell’eliminazione di Haniyeh, con la sua spregevole storia quasi trasfigurata: un autentico macellaio del terrore presentato come un «pragmatico», se non addirittura come un moderato. Ma come? Era tra quelli che avevano pensato e voluto il 7 ottobre; e anche dopo, era tra quelli che avevano invocato la necessità di far scorrere più sangue, sia proprio che altrui.
Sarebbe stato questo il suo «pragmatismo»?
E la mistificazione non conosce limiti nemmeno rispetto alla cupola di Hezbollah e alla testa del serpente, che notoriamente sta a Teheran. Mentre si criminalizza Israele, non c’è alcuna esitazione nel descrivere come riflessivo e – anch’esso – «pragmatico» un regime sanguinario come quello iraniano. Per paradosso, non c’è nemmeno – e sarebbe già stato uno scempio logico – un’equiparazione tra i due contendenti, una propensione a metterli sullo stesso piano. No: ormai si registra un’autentica esplosione di ostilità verso chi dovrebbe esserci più vicino.
E gli altri? Quelli che dovrebbero esserci lontani per definizione? Vale la pena di ricapitolare che la dittatura iraniana e i suoi clienti (Hamas, Hezbollah, Jihad Islamica) perseguitano i loro stessi popoli, puniscono e uccidono i dissidenti, avvelenano l’intero Medio Oriente, e puntano esplicitamente a cancellare Israele dalla faccia della terra. Eppure, in questo costante capovolgimento morale, in questo testacoda etico ed intellettuale, verso Teheran e i suoi servi e sicari i nostri media usano ogni cautela. Per Israele, che invece combatte anche per noi e per i nostri valori (e in qualche caso lo fa... nonostante noi), ci sono più che altro gelo e ostilità, ormai nemmeno minimamente nascosti o attenuati.

 

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