Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/09/2024, a pag. 1/7, l'analisi di Anna Zafesova dal titolo "Lo zar spalle al muro alza ancora la posta".
Anna Zafesova
Nei più di due anni e mezzo di invasione russa dell'Ucraina, è diventata ormai evidente una correlazione ricorrente: Vladimir Putin torna a parlare di schiacciare il pulsante dell'attacco atomico soltanto quando le sue truppe sono in difficoltà. Soltanto tre mesi fa, dopo aver permesso ai suoi consiglieri e propagandisti di alzare il grado delle minacce nucleari a un punto tale da renderle quasi ordinaria amministrazione, aveva deciso di tranquillizzare l'opinione pubblica russa e internazionale dicendo che il Cremlino «non sentiva il bisogno nemmeno di pensare» al ricorso al nucleare. In quel momento, l'offensiva russa nel Donbass stava avanzando, seppure lentamente e a costo di pesantissime perdite, e l'Ucraina sembrava condannata a subire un permanente martirio, per nulla addolcito dalla costante solidarietà internazionale.
Oggi, la situazione è molto diversa: gli ucraini hanno assestato diversi colpi molto dolorosi agli arsenali nella Russia profonda (grazie anche all'autorizzazione a colpire con le loro armi concessa da molti alleati occidentali), e lo sfondamento delle truppe di Kyiv nella regione di Kursk ha trasformato Putin agli occhi del mondo e dei propri elettori da un dittatore inarrestabile in un comandante supremo che da due mesi ha il nemico in casa. E le minacce tonanti di un'apocalisse atomica non fanno che confermare la difficoltà di una guerra convenzionale che un Paese che si proponeva come seconda potenza mondiale non riesce a vincere da quasi tre anni.
La dichiarazione del leader russo sulla revisione della dottrina nucleare di Mosca, con un drastico abbassamento della soglia della minaccia che lo autorizzerebbe a un «contenimento atomico», arriva pochi giorni dopo che in Rete hanno iniziato a circolare i filmati del presunto test fallito del missile Sarmat, la superarma sulla quale Putin aveva scommesso nella sua escalation. Un test che avrebbe dovuto svolgersi proprio mentre Volodymyr Zelensky partiva per gli Usa, a presentare il suo «piano della vittoria». È una partita a poker che Kyiv, assieme agli alleati occidentali, e Mosca conducono ormai da diversi mesi, calando ciascuno le proprie carte, cercando di ottenere il sostegno degli amici e di dissuadere con le minacce gli avversari.
Una partita che ha preso una accelerazione vertiginosa nelle ultime settimane, con l'apertura del fronte di Kursk e soprattutto con l'avvicinarsi delle elezioni americane, e quando Zelensky dice che la soluzione della guerra potrebbe essere «più vicina di quanto sembri», probabilmente allude anche a questo secondo fattore. Il tempo stringe per tutti. L'Ucraina si prepara al quarto anno di guerra, con un inverno che promette di essere tragico – lo stesso presidente ucraino ha rivelato dalla tribuna dell'Onu che le bombe russe hanno devastato tutte le centrali termoelettriche del Paese – e un'economia che dipende dagli aiuti occidentali quasi quanto la sua indipendenza militare. Il regime putiniano sta affrontando una crisi di consensi – perfino dai sondaggi ufficiali si vede che i sostenitori di una soluzione negoziale superano di numero i fan della guerra – e fa sempre più fatica a mandare avanti un'economia ormai totalmente imperniata sul settore militare. L'Occidente è consapevole dei rischi del putinismo per l'Europa, ma è angosciato anche dall'espandersi della crisi mediorientale, con Mosca sempre più vicina all'Iran. Anche perché, come nota il politologo kyviano Viktor Andrusiv, il problema dell'Occidente non è «immaginarsi i benefici di una vittoria dell'Ucraina, è quello di valutare i rischi di una sconfitta della Russia».
Questo è anche il motivo per il quale la diplomazia di Putin è in difensiva: escluso da buona parte dei consessi globali e limitato nei suoi viaggi dal mandato di cattura internazionale, promette l'atomica per impedire una «minaccia critica alla sovranità russa» (anche se restano da capire i criteri di questa minaccia, e soprattutto quanto al Cremlino distinguano tra la sovranità nazionale e la sopravvivenza del regime putiniano). La diplomazia di Zelensky è invece proattiva, come si vede anche dalla sua intensa agenda americana, e dall'allarme che ha lanciato dalla tribuna delle Nazioni Unite sul rischio di un attacco russo a tre centrali nucleari ucraine.
Un messaggio rivolto non soltanto agli europei: è sempre più evidente come il vero campo di battaglia diplomatica sia altrove, e mentre Putin cerca di soffiare sui sentimenti antioccidentali del "Sud globale", Kyiv cerca di sconfiggere lo scetticismo di capitali africane e sudamericane, e The Politico scrive che il vero negoziatore con Mosca potrebbe essere il premier indiano Narendra Modi, che ne avrebbe discusso con Zelensky durante la sua recente visita a Kyiv.
Un cambiamento delle geometrie globali di cui l'Occidente, nella sua valutazione dei rischi e dei benefici, della vittoria ucraina e della sconfitta russa, deve tenere conto: se una escalation nucleare spaventa Usa ed Europa come Cina e India, un collasso del regime russo – incubo degli occidentali già alle prese con altri conflitti che gli stanno scappando di mano – aprirebbe invece, oltre ai pericoli, anche numerose opportunità che a Sud e a Est potrebbero apparire molto allettanti.
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