8/4/02 Comode amnesie
"liberati quattro prelati. Israele: religiosi ostaggi dei terroristi."
Testata: Corriere della Sera
Data: 07/04/2002
Pagina: 1
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: I frati asserragliati: «Restiamo per evitare stragi»
Il nostro Cremonesi sembra affetto da amnesia totale: gli israeliani sparano, bruciano, devastano, uccidono e non si sa perché: così, senza una ragione al mondo.
I frati asserragliati: «Restiamo per evitare stragi»
di Lorenzo Cremonesi

La basilica di Betlemme è sempre circondata, liberati quattro prelati. Israele: religiosi ostaggi dei terroristi.

DAL NOSTRO INVIATO
BETLEMME - La piazza della Mangiatoia è deserta. Davanti all’entrata della basilica della Natività resta l’auto blindata della Rai abbandonata dai giornalisti italiani martedì mattina. Si ode uno sparo.
Un carro armato israeliano punta il cannone verso una finestra scura dietro la quale, dicono, sono appostati i cecchini palestinesi. Più a destra c’è una vettura bianca sventrata da un’esplosione. Più in là ancora, dieci cingolati da trasporto pattugliano la zona pronti ad attaccare. Impossibile vedere la porta di ingresso della basilica dalla via della Grotta del Latte.
I francescani e i palestinesi affermano che è stata fatta saltare dagli israeliani, «violando il luogo santo». Questi ultimi continuano a smentire che, da parte loro, vi sia stata alcuna azione del genere. E lo stallo continua: una cinquantina tra frati francescani e suore restano asserragliati assieme a oltre 200 guerriglieri palestinesi armati (alcune fonti ne contano 243). Fuori l’esercito aspetta. Una attesa che vede crescere la crisi nelle relazioni mai facili tra Stato ebraico e Chiesa cattolica.
Ieri l’ennesimo scambio polemico provocato dall’uscita di quattro prelati dalla basilica. «Uno di loro, un italiano, è un professore che doveva partire per riprendere a insegnare. Altri due non stanno bene di salute, uno ha problemi di cuore. E il quarto, uscito con loro, è un confratello che ha fatto da autista - ha detto al Corriere Giovanni Battistelli, superiore della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, l’istituzione che dal tempo delle Crociate rappresenta gli interessi cristiani nella regione -. Sono partiti senza che i palestinesi dicessero nulla. Gli altri restano nel complesso della basilica di loro volontà, dicono che la loro presenza impedisce un massacro e garantisce la vita ai palestinesi».
E le sue parole sono rilanciate dalle dichiarazioni a Roma del ministro generale dell’ordine francescano, Giacomo Bini: «I nostri confratelli restano per evitare un bagno di sangue, che sarebbe un’azione sacrilega proprio nel luogo della nascita di Gesù. Tra loro c’è anche un padre francese di 85 anni, che non vuole assolutamente uscire». Tutta diversa la versione israeliana. «I quattro sono stati salvati dai soldati. Gli altri membri del clero restano ostaggi nelle mani di un gruppo violento di terroristi che violano le chiese per farsi scudo», dicono i portavoce militari.
La tensione diminuisce via via che ci si allontana dalla zona della basilica. Da ieri mattina qualcuno ha iniziato a farsi vedere alle porte delle case. Poi, alle tre di ieri pomeriggio, gli israeliani hanno sospeso il coprifuoco sino alle sei. Solo tre ore e soltanto nelle zone periferiche. Ma per larga parte dei circa 50mila abitanti di Betlemme è la prima possibilità di uscire dalle loro abitazioni dopo cinque giorni di battaglia, rinchiusi dietro barricate di fortuna, terrorizzati dall’eventualità di essere colpiti da un proiettile vagante in ogni momento, attenti a qualsiasi rumore nella strada dove i soldati rastrellano uomini e ragazzi fracassando a casaccio porte e finestre. «La gente ha bisogno di tutto. Comprano latte, uova, verdura, caffè, zucchero e farina, tanta farina», dicono al supermercato «Ala», dove la folla si accalca con in mano borse della spesa e sacchetti di plastica cercando di passare da una saracinesca appena socchiusa. «Ho due figli in Italia. Prima avevano studiato qui a Betlemme alla scuola dei Salesiani, poi si sono laureati a Padova. Io ero rimasto qui a Betlemme a dirigere la nostra fabbrica di macchinari medici. Mi ero illuso nel processo di pace. Ma adesso basta, troppa violenza, troppa paura. Appena posso vendo tutto e vado a vivere da loro. Non c’è futuro per i palestinesi in Palestina», dice Ibrahim Kattan, incontrato per caso al banco dei formaggi. Manca il pane. L’unico forno funzionante è quello dei Salesiani, dove alcuni volontari distribuiscono panini raffermi in confezioni da dieci.
E’ il momento di valutare i danni in un paesaggio spettrale. C’è chi scopre la propria auto schiacciata da un carro armato, chi trova il negozio bruciato e chi vaga incredulo per queste vie che erano appena state rifatte con investimenti di milioni e milioni di dollari dalle autorità dell’Autonomia palestinese nel contesto del programma «Betlemme 2000» e ora paiono Beirut negli anni peggiori della guerra.

Anche qui, come a Beirut, i palestinesi hanno portato alla distruzione di un'intera regione, ma Cremonesi in qualche caso ha la memoria corta.
Nelle viuzze che portano verso la piazza della Mangiatoia incontriamo Nama Kanan, una donna di 32 anni che martedì si era rifugiata con il figlio di un anno e il marito nell’appartamento dei genitori in una zona più sicura e ora per la prima volta cerca di raggiungere la sua abitazione. Le botteghe del mercato della carne sono deserte. Appena prima dell’abitazione, la bottega di un idraulico è stata trasformata in piccola fabbrica di bombe a mano. Una decina di ordigni rudimentali ricavati da tubi di ferro sta ancora sul pavimento.
Poi Nama lancia un grido di sorpresa quando vede che la porta della sua casa al primo piano è stata divelta. «No, speriamo di no!», sussurra salendo le scale. Ma l’appartamentino è devastato: hanno sparato nel frigorifero, infranto tutti i vetri, sfondato le porte interne con i calci dei fucili, rovesciato i vestiti sul cibo in cucina, spaccato il letto, sfregiato i muri. Lei scoppia in un pianto isterico nel vedere la televisione distrutta. «Ma perché? Cosa gli abbiamo fatto? Perché questa devastazione? Perché non se ne vanno e non ci lasciano in pace?».




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