Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/09/2024, a pag. 51 delle pagine torinesi, con il titolo "Senza Pannella sarei finito in Siberia. Entrò in libreria e mi insegnò la politica", intervista di Giulia Ricci ad Angelo Pezzana.
«A Pannella devo la vita. Ma anche un luogo dove portare avanti le nostre battaglie». Angelo Pezzana, fondatore del Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano (Fuori!) e del Salone del Libro, domani parteciperà all'intitolazione della passeggiata di corso Siccardi al leader dei Radicali.
Quanto le manca Pannella?
«Tantissimo, come mi manca in ugual misura Fernanda Pivano. Pannella mi ha insegnato la politica, Nanda la cultura».
In cosa le furono maestri?
«Nel cambiamento, che non è rivoluzione. La seconda finisce nel sangue, il primo in situazioni giuste, in una vita migliore».
Come conobbe Pannella?
«Veniva sovente a Torino, dove si trovava il tribunale che giudicava i soldati di leva che volevano fare "obiezione di coscienza". Voleva che ci fosse una via d'uscita: grazie a lui nacque il servizio civile».
E a quel punto lo incontrò.
«Era il 1972. Mentre andava in tribunale lo vidi apparire davanti alla mia prima libreria. Entrò e mi disse: "Sei tu quello che ha fondato il movimento di liberazione omosessuale, il Fuori? Lo riconobbi subito, mi sorrideva talmente...».
Cosa voleva chiederle?
«Disse che stavano organizzando il congresso del partito radicale e gli avrebbe fatto piacere che venissi con degli amici. "Noi abbiamo uno slogan – mi raccontò –, se non raggiungiamo i mille iscritti, chiudiamo"».
Andò?
«Sì, e con me una quindicina di amici, non solo omosessuali, ma tutti quelli interessati ai diritti moderni. Mi diede subito il microfono in mano».
Parlò per primo?
«Sì, e subito volli mettere le cose in chiaro: "Sono omosessuale". Quattro o cinque si alzarono».
Perché protestarono?
«Dissero: "Guarda che qui non abbiamo un'etichetta, siamo tutti radicali". Quel giorno iniziammo a parlare delle battaglie che poi divennero leggi, il divorzio, l'aborto... Due giorni dopo affittammo un posto in via Garibaldi e fondammo la sede di Torino».
Lei aveva mai pensato di fare politica prima?
«No, mi davano fastidio le ideologie, sentirmi obbligato a pensarla in un certo modo. Nei Radicali, invece, eravamo liberi di dire tutto quello che volevamo. Dopo due anni il Fuori! aderì al partito e ci trovammo tante sedi dove i giovani omosessuali potevano ritrovarsi, stampare materiale: fu il grande regalo alla comunità Lgbt. La parola "omosessuale", tra l'altro, uscì per la prima volta su La Stampa».
Quando?
«Quando Curino scrisse della nostra protesta a Sanremo, dove un congresso di psichiatri voleva far dichiarare l'omosessualità una malattia. Il mattino dopo mia mamma lo lesse e pianse».
Lo scoprì così?
«Sì. A quel punto le dissi che Alfredo Cohen era il mio compagno. Da quel giorno divennero così uniti che lui le dedicò una raccolta di poesie».
Come proseguì il rapporto con Pannella?
«Nel 1976 mi candidò in Parlamento: capolista erano donne, al secondo omosessuali o chi apparteneva a parti della società meno rappresentate».
Quanto sono importanti, oggi, quelle battaglie?
«È tutto finito. Le femministe non combattono per le donne in Iran e gli omosessuali vanno a Gaza e portano solidarietà, dimenticandosi che Israele è lo Stato dove esiste il Pride più grande del mondo, dove il Parlamento ha dato ai compagni dei soldati morti nel conflitto la qualifica di "vedovo di guerra". Un fatto qui impensabile".
Lei a Pannella deve la vita…
«Sì, quando andai a protestare a Mosca per la liberazione del regista Paradžanov, io solo con un asciugamano scritto con una biro, andò all'ambasciata e disse "Se condannate Pezzana avrete tutto il Parlamento italiano contro". Io ero arrivato già alla Lubjanka, il passo dopo era la Siberia. La ragazza che traduceva mi disse "Grazie, io ho tanti amici omosessuali". Mi liberarono».
E domani l'intitolazione...
«Sì, ma se la targa sarà solo "M. Pannella" invece che "Marco Pannella" io sarò pronto a dire: "Non applauditemi, è offensivo, lui merita il nome per intero. Io e il mio gruppo di amici siamo pronti con un pennarello nero molto spesso"».
La battaglia continua sempre…
«Sempre».
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