Ilya Yashin: Se volete una Russia diversa dovete far vincere l’Ucraina
Intervista di Giuseppe Agliastro
Testata: La Stampa
Data: 19/09/2024
Pagina: 8
Autore: Giuseppe Agliastro
Titolo: Ilya Yashin: 'Se volete una Russia di nuovo europea dovete far vincere la guerra all'Ucraina'

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/09/2023, a pag. 8 con il titolo "Se volete una Russia di nuovo europea dovete far vincere la guerra all'Ucraina" l'intervista di Giuseppe Agliastro a Ilya Yashin.

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Giuseppe Agliastro

Ilya Yashin, giornalista russo dissidente, liberato dopo anni di carcere, nell'ultimo scambio di prigionieri

La Russia tra dieci anni? «Voglio che sia un Paese libero, che non pretende i territori dei suoi vicini. Voglio che non sia temuta ma rispettata, che abbia istituzioni democratiche stabili, che garantiscono i diritti dell'uomo, la sostituibilità del governo». E che «sia parte della comunità europea». Ilya Yashin è uno dei volti più noti dell'opposizione russa. Quando Putin ha ordinato l'invasione dell'Ucraina, lui si è subito schierato contro la guerra e ha denunciato la strage di Bucha di cui sono accusati i soldati russi. E per questo è stato rinchiuso nelle carceri del regime con una condanna a otto anni e mezzo. È stato liberato poco tempo fa, in un maxi scambio di detenuti tra il Cremlino e i Paesi occidentali. In un videocollegamento con La Stampa ha spiegato come sogna la Russia del futuro e come si prepara a continuare la sua attività di oppositore dall'estero. Ma ha anche raccontato di aver subito gravissimi soprusi in carcere e ha ribadito la sua ferma condanna alla guerra in Ucraina. «Penso che Putin abbia ordinato di uccidere lentamente Navalny», ha detto parlando della morte in carcere del rivale numero uno di Putin, avvenuta in circostanze misteriose e dietro la quale si allunga prepotente l'ombra del Cremlino. E ha poi denunciato che nelle prigioni russe e bielorusse ci sono detenuti politici «la cui vita è in pericolo» e che «bisogna salvare immediatamente».

Ilya Valeryevich, quando era in carcere a Smolensk è stato più volte in cella di punizione. Che significa essere rinchiusi in una cella del genere?

«Se vogliamo dire pane al pane è una tortura. Si immagini un locale di due metri per tre. Tutto quello che c'è in questo locale sono un lavandino sporco, un water sporco e un lettino che alle 5 del mattino si fissa al muro per cui non ci si può più né sdraiare né sedere. Carta, penna e un libro li danno per 40 minuti la mattina e per un'ora la sera. Tutto il resto del tempo si può guardare il muro, camminare tre passi avanti e tre indietro, e basta. È una tortura psicologica, ma è anche pesante fisicamente, perché è molto difficile stare in piedi per giorni interi, e se cerchi di sdraiarti per terra, ti ammoniscono. E poi praticamente non c'è luce, c'è una finestrella molto piccola e da ambo i lati ci sono le sbarre e dalla parte esterna pure il filo spinato, e quindi la luce del sole praticamente non penetra nella cella, c'è solo quella della lampadina».

L'esercito russo recluta tra i detenuti promettendo loro la scarcerazione se combattono in Ucraina. Lei ha conosciuto detenuti che si sono arruolati?

«Avrò incontrato circa 30 persone che sono state al fronte o volevano andarci. (…) E vedevo come una missione convincere queste persone a non andare a combattere. (…) Non ho una statistica molto buona (…) ma sono riuscito a convincere tre persone, e tutte e tre mi sono poi state riconoscenti. Ero molto preoccupato per un ragazzo che nei primi giorni in cui ero nella colonia stava in un lettino accanto al mio. Non ho fatto in tempo a dissuaderlo perché mi hanno mandato in cella di punizione e so che purtroppo è andato in guerra ed è morto».

Perché non voleva essere parte di uno scambio di detenuti?

«Ho rifiutato di firmare una richiesta di grazia dicendo che reputo Putin un criminale di guerra e non gli avrei chiesto mai nulla. Non ero contrario alla scarcerazione ma a che mi mandassero via dal mio Paese. Mi rendevo conto che per Putin era più comodo avermi all'estero. Ancora prima dell'arresto avevano premuto perché andassi via minacciando il carcere. Ho detto di no e mi hanno arrestato. Capivo che questo faceva parte della strada su cui dovevo camminare. Lo capivo. Ero pronto. Ho voluto assumere questo fardello in modo assolutamente cosciente perché mi sembrava che in Russia dovesse essere sentita la voce contro la guerra, anche dal carcere, ma in Russia».

Continuerà a fare politica in esilio?

«Continuo a fare politica. In realtà non mi sono mai visto come politico in esilio, ma siccome non ho avuto altra scelta, sto imparando. Cerco di creare una comunità con chi è vicino alle mie idee, con gli oppositori, anzitutto con Yulia Navalnaya e Vladimir Kara-Murza. Regolarmente ci sentiamo, ci vediamo. Ho delle idee, iniziative che potrebbero creare problemi al governo russo e spero avvicinino la fine della guerra».

Può darci qualche dettaglio?

«Voglio svelarli quando sarà ora. Posso dire che i miei pensieri sono diretti a consolidare il sostegno al movimento democratico russo contro la guerra».

Lei è finito in carcere per aver condannato l'invasione dell'Ucraina, ma quando ha auspicato un cessate il fuoco ha ricevuto delle critiche. Come mai?

«La mia posizione non è cambiata durante la guerra. Penso che l'esercito russo debba abbandonare il territorio ucraino perché si trova lì illegalmente. Come esattamente questo avverrà, in seguito a trattative, o in seguito a resistenza militare, lo possono decidere solo gli ucraini perché si tratta del loro Paese».

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