Riprendiamo da LIBERO di oggi, 19/09/2024, a pag. 14, con il titolo "Hezbollah nel panico. Dopo i cercapersone, esplodono i walkie talkie, in fiamme i bancomat", la cronaca di Amedeo Ardenza.
Martedì i cercapersone.
Mercoledì i walkie talkie. E oggi? I televisori? Cresce lo sconcerto tra le file di Hezbollah.
Dopo essere stata colta di sorpresa dall’esplosione di migliaia di beeper (i cercapersone) che aveva fornito ai propri militanti, ieri l’agguerrita milizia sciita libanese armata e finanziata dall’Iran ha subito un secondo rovescio.
A esplodere mercoledì sono stati centinaia di walkie talkie che Hezbollah aveva acquistato cinque mesi fa, all’incirca quando aveva ordinato anche i cercapersone. Secondo quanto riferito dalla stampa libanese, una serie di detonazioni è stata registrata soprattutto a Dahiyeh, un sobborgo di Beirut; a Saida, nel sud del Libano; e a Baalbek, nell’est del Paese.
Abitazioni private, veicoli, ma anche un funerale di quattro operativi di Hezbollah nella capitale libanese sono stati teatro della nuova guerra a distanza che tanto la milizia sciita quanto le autorità del Libano attribuiscono a Israele.
TRASFERITI IN IRAN
Almeno 14 persone avrebbero perso la vita mentre 450 sarebbero i feriti di mercoledì. Di questi, scriveva ieri sera il giornale libanese L’Orient-Le Jour citando fonti dell’associazione scout al-Rissala, affiliata al movimento sciita Amal, almeno 146 sono stati portati negli ospedali del Libano meridionale mentre le autorità sono dovute intervenire per mettere sotto controllo 34 incendi.
Il numero delle vittime di mercoledì è in linea con quello del giorno prima quando i morti hanno raggiunto quota 12 (ma i feriti avrebbero sfiorato quota tremila).
Confermando l’evidenza, ieri un responsabile della sicurezza libanese ha affermato all’Afp che «i dispositivi erano pre-programmati per esplodere e contenevano materiali esplosivi posti accanto alla batteria». Intanto è partita una corsa a disconoscere la paternità degli apparecchi di comunicazione trasformati in bombe a distanza. Il governo ungherese ha negato che i cercapersone esplosi in Libano (come anche in Siria) fossero prodotti in Ungheria. Una smentita arrivata dopo che un’azienda taiwanese, il cui marchio appare sui cercapersone, ha affermato che i modelli utilizzati in Libano sono stati progettati e realizzati dal suo distributore BAC Consulting, con sede nella capitale ungherese Budapest.
«Le autorità hanno confermato che la società in questione è un intermediario commerciale, senza un sito di produzione o operativo in Ungheria», ha scritto il portavoce del governo magiaro, Zoltan Kovacs, su X.
Secondo il giornalista siriano freelance Fared Al Mahlool, l’ondata di esplosioni in Libano ha portato il regime siriano del presidente Bashar Assad a ordinare alle agenzie di sicurezza e alle forze militari di non usare dispositivi wireless, che devono essere tenuti spenti, utilizzando invece i telefoni fissi. Una circolare che non dispiacerà di certo alle orecchie degli israeliani, facilitati nell’opera di intercettazione.
Tanto Al Mahlool quanto il suo collega Nedal Al Amari hanno diffuso video di siriani in festa dopo le esplosioni a catena «e se mi chiedete perché», ha scritto Al Amari, «vi ricordo che Hezbollah ha sostenuto Assad per 13 anni, uccidendo migliaia di siriani, stuprando donne, uccidendo bambini, distruggendo intere città e spostando la loro gente. Hezbollah ha operato per cambiare la demografia della Siria. E ad oggi, ci sono più di 100 basi militari di Hezbollah in Siria, il cui unico scopo è uccidere il popolo siriano».
Israele intanto approfitta dello sconquasso a casa di uno dei suoi peggiori nemici per mostrarsi deciso a riportare la serenità sul confine settentrionale, una zona ormai da quasi un anno resa inabitabile per la pioggia quotidiani di missili, droni e colpi di mortaio da parte di Hezbollah. Mentre il governo di Benjamin (Bibi) Netanyahu si guarda bene dal rivendicare la serie di esplosioni in Libano, molti nel Paese si aspettino che da Gerusalemme arrivi l’ordine di attaccare Hezbollah in modo massiccio ora che tanti suoi operativi sono feriti o ricoverati e che le comunicazioni all’interno della milizia sono saltate.
L’AMICO AMERICANO
Neppure Bibi però può fare i conti senza Joe Biden e, benché uscente, il presidente degli Stati Uniti è determinato a evitare che alla vigilia delle presidenziali (il prossimo 5 novembre) scoppi un conflitto su larga scala fra Israele ed Hezbollah, con il possibile corollario di un intervento dell’Iran, della Siria o degli Huthi al fianco della milizia sciita. Bibi sa che in caso di guerra aperta, Israele avrà bisogno del sostegno Usa e, almeno per il momento, non intende forzare la mano alla Casa Bianca. Ieri intanto il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, ha affermato che il paese «è sull'orlo di una nuova fase della guerra». Consapevole della pericolosità di Hezbollah e della sua immensa capacità missilistica, ha aggiunto: «Questo non è Hamas: abbiamo a che fare con qualcosa di diverso dobbiamo prepararci di conseguenza».
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