Riprendiamo da LIBERO di oggi 19/09/2024, a pag. 1/15, con il titolo "Israele ha diritto di sconfiggere il terroristi che vogliono cancellarlo", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Che a essere in lutto siano le organizzazioni del terrorismo islamico e i loro amici in giro per il mondo, si capisce benissimo. Al massimo, si può sorridere amaramente delle surreali note giunte da Teheran e da Mosca. Il regime degli ayatollah, la vera testa del serpente che sta avvelenando da anni tutta la regione, ha avuto la spudoratezza di evocare il concetto di «genocidio»: l’attacco israeliano alle apparecchiature di comunicazione di Hezbollah sarebbe appunto «una prova di genocidio», secondo il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanaani. E così, ribaltando le parti, proprio lo stato che vorrebbe distruggere Israele e che finanzia le organizzazioni del terrore sostiene che sia Gerusalemme a «mettere di nuovo a rischio la pace e la sicurezza della regione».
Non meno lunare la dichiarazione giunta da Mosca a firma dell’ineffabile Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, che – con sprezzo del ridicolo – ha invitato «tutte le parti interessate alla moderazione». Ci mancava solo l’elogio della moderazione messo nero su bianco dal Cremlino.
Ma ciò che – pur senza stupirci – deve allarmarci maggiormente è che un analogo senso di lutto si percepisca nei resoconti e nei commenti dei giornali italiani e di non pochi media occidentali, sempre più incapaci di distinguere tra uno stato democratico come Israele e le belve del terrore islamista.
Da questo punto di vista, va invece ricordato che, dopo il 7 ottobre, tutti – da Washington a Bruxelles – si dicevano concordi sull’obiettivo di distruggere Hamas tanto quanto le altre organizzazioni del terrorismo integralista.
Oggi invece dilaga la vaghezza (è il caso del segretario di stato Usa Blinken, che si è limitato a certificare che gli americani non erano al corrente dell’azione dei servizi israeliani) o un’atroce ambiguità come nelle dichiarazioni del solito Borrell, capo uscente della diplomazia Ue, che si è affrettato a esprimere «condanna» per Gerusalemme. Non si è sottratto nemmeno il segretario generale dell’Onu Guterres, che ha ritualmente evocato il rischio «escalation». Dalle parti del Palazzo di vetro, si contesta anche l’uso di oggetti civili per questo attacco: omettendo il piccolo dettaglio che si trattava di strumenti materialmente utilizzati da una rete terroristica. E allora sarà il caso di rimettere in fila alcuni concetti elementari ma dimenticati da troppi. Primo: Hezbollah (come Hamas e la Jihad islamica) ha obiettivi di chiara natura terroristica, altro che distinzioni fumose tra “ala politica” e “ala militare”. In questo senso, è ridicolo e mistificatorio che i media italiani continuino a usare l’espressione “miliziani” con riferimento a quelli che erano e sono soldati del terrore.
Secondo: Israele ha tutta l’intenzione (e fa benissimo) non solo di contrastare queste organizzazioni sul campo, ma di infiltrarle anche sul terreno delle loro comunicazioni interne. Da mesi Hezbollah riteneva che le comunicazioni telefoniche non fossero più sicure, e per questo aveva dirottato i propri membri verso l’uso dei cercapersone. Con una dimostrazione spettacolare di forza e una mirabile azione di intelligence, Israele ha mostrato di sapere tutto questo, di poter intervenire da remoto anche su quella filiera, e quindi di avere potenzialmente nel mirino ogni affiliato all’organizzazione.
TUTTI NEL MIRINO
Peraltro ieri l’intelligence israeliana ha colpito per la seconda volta in due giorni, facendo simultaneamente esplodere in Libano diverse migliaia di walkie-talkie e radio militari, e quindi vanificando un’ulteriore rete di comunicazione a disposizione dei terroristi.
Dunque, Hezbollah (con i suoi sponsor di Teheran) è costretta a prendere atto del fatto che Gerusalemme è in una condizione di superiorità schiacciante, e si è messa in grado di inibire ogni forma di comunicazione sicura tra gli uomini del terrore. E tutte le pedine della filiera islamista – dai vertici fino all’ultimo terrorista – sanno che possono essere uccise in trasferta, perfino in territorio iraniano, com’è accaduto recentemente a uno dei supercapi di Hamas, Ismail Haniyeh, o colpite attraverso ogni strumento tecnologico, anche il più rudimentale. L’effetto di paura e umiliazione, per non dire di autentico panico, che si produce sulle organizzazioni terroristiche è un notevolissimo successo israeliano.
Terzo. I servizi di Gerusalemme erano comprensibilmente sotto attacco dopo gli eventi del 7 ottobre, quando si verificò una oggettiva débâcle del sistema di sicurezza israeliano. Gli eventi degli ultimi mesi mostrano una clamorosa rivincita, con una sequenza indiscutibile di successi.
Quarto. È altamente significativo che l’altro giorno in Libano sia rimasto ferito anche l’ambasciatore iraniano in quel Paese, pure lui con il suo cercapersone in mano: segno inequivocabile di come la rete diplomatica degli ayatollah gestisca le reti del terrore nella regione, o quanto meno ne faccia parte integrante.
Ma soprattutto – tirando le conclusioni – rimane l’argomento decisivo da considerare. Per mesi, i critici di Israele (a questo punto possiamo dirlo: ipocritamente) avevano invocato la preferibilità di azioni mirate di intelligence rispetto alle iniziative militari tradizionali. Ma poi, quando tali azioni dei servizi israeliani sono state messe in campo, come negli ultimi due giorni, alle anime belle non sono andate più bene nemmeno queste.
La realtà è che Israele sta ricordando a tutti una nozione purtroppo dimenticata in Occidente: vincere contro il nemico vuol dire esattamente “vincere”, non pareggiare, non vivacchiare, non cercare fragili compromessi. Vuol dire sconfiggerlo sul campo, ucciderne e catturarne i capi, sbaragliarlo militarmente, eliminare o compromettere la sua rete operativa, inibirne le comunicazioni, metterlo in condizione di non colpire di nuovo. C’è da temere che nelle nostre capitali più di qualcuno sia dispiaciuto di tutto ciò.
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