Riprendiamo da BET Magazine di settembre 2024, a pagina 1, il commento della direttrice Fiona Diwan.
Fiona Diwan
Cara lettrice, caro lettore esiste uno sguardo che supera la realtà e ci balla sopra, che ha a che fare con lo straniamento e il grottesco che a volte la realtà provoca, un senso di vaga allucinazione dentro cui non riusciamo a capire come si è caduti. L’abbiamo provato tutti noi in questi ultimi mesi, nell’Europa ebraica, in Francia, in Inghilterra, in Italia... I prodromi di ogni sconvolgimento sociale o politico si annunciano abitualmente con un mutamento del linguaggio, con un cambio di passo lessicale, con neologismi o un ribaltamento del senso abituale delle parole. Quando l’aria che tira si fa insalubre, quando il vento che cambia si infila negli anfratti dell’abisso, il primo segnale che ci arriva è dalle parole, dalla straniante distorsione del loro senso. La lingua non mente mai, e bene lo aveva raccontato nel suo diario di filologo Viktor Klemperer, ne Il linguaggio del Terzo Reich, libro indispensabile per capire il sorgere e l’affermarsi del nazismo in Germania (Klemperer annotava le nuove parole come de-giudaizzare, arianizzare, nordicizzare, Untermensch sub-umano...). Nel lessico dei nuovi reprobi – che a quanto pare saremmo noi - oggi troviamo parole come genocidio, apartheid, suprematista, de-sionistizzare, sionista, colonialista, eccetera... Tra i primi ad accorgersene, anni fa, sono stati i francesi quando hanno cominciato a prestare attenzione alle parole della giudeofobia progressista e illuminata, il nuovo antiebraismo che accanto ai vecchi clichè dell’“odiato plutocrate ebreo” iniziava a brandire accuse di colonialismo contro Israele, e di “fiancheggiatori” dell’imperialismo per gli ebrei della Diaspora. Con un rovesciamento interessante e grottesco: al deportato della guerra, al testimone dell’orrore della Shoah, oggetto di sollecitudine e ascolto, era subentrata la figura del soldato israeliano armato, sanguinario e razzista, e di Israele come nuovo paria delle nazioni, la palma d’oro del martirio slittata a favore dei palestinesi, nuove vittime esemplari. E così, in nome della lotta al colonialismo, il primo dovere del progressista sagace e illuminato sembra oggi essere diventato quello di essere antisemita, un nuovo razzismo che si esprime con le parole dell’antirazzismo: e così, in nome della pietas e dell’umanità diventa giusto odiare gli ebrei e Israele in difesa delle nuove vittime arabe. Nulla è più pericoloso dei “puri di cuore” mi ripeteva un tempo il mio professore di Filosofia della Storia, all’Università, Mario Cingoli. Nulla di più vero, mi dico oggi. Attenti ai puri di cuore abitati da quel bisogno di palingenesi globale, avvertiva Cingoli. Eccoli adesso i nuovi Savonarola armati di un nuovo lessico dell’odio, animati dalla sacra lotta contro l’iniquità dell’uomo-bianco, avvolti nel mantello progressista, campioni di eroici furori e la volontà di costruire un mondo migliore distruggendo le faticose conquiste con cui siamo giunti ad avere una delle civiltà più prospere che il mondo abbia mai conosciuto, dopo guerre dei Cent’anni e Blitzkrieg, carneficine, spargimenti di sangue, appena un secolo dopo la Grande Guerra, appena 80 anni dopo Auschwitz e 30 anni dopo la caduta del Muro di Berlino. Eccoci allora già annoiati della libertà conquistata a fatica, un Occidente preda di un fervore masochista che si autoflagella e si autodenigra, ormai troppo lontano dagli orrori del XX secolo, troppo a suo agio nel salotto buono delle democrazie e nelle società stabili, pacifiche e libere per le quali sono morti e hanno lottato i nostri padri e nonni. Come scrive il filosofo francese Pascal Bruckner in Un Colpevole quasi perfetto. La costruzione del capro espiatorio bianco (Guanda), godendo del privilegio dell’anzianità, gli ebrei tornano oggi ad essere il gold standard dell’odio razziale. Esaurita la giostra dei capri espiatori, lui rimane sempre l’ultima risorsa, pronta per l’uso, sdoganata da tutti. Già, esiste uno sguardo che supera la realtà e ci balla sopra.
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