Fondazione Prada: antisemita
Cronaca di Fabiana Magrì
Testata: La Stampa
Data: 14/09/2024
Pagina: 29
Autore: Fabiana Magrì
Titolo: 'Installazioni antisemite a Venezia' Polemica sulla Fondazione Prada

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/09/2024, a pag. 29, con il titolo "'Installazioni antisemite a Venezia' Polemica sulla Fondazione Prada", il commento di Fabiana Magrì.

Fabiana Magrì
Fabiana Magrì

L'installazione Monte di Pietà dell'artista svizzero Christoph Büchel, contiene molti elementi antisemiti. Proteste dalla European Jewish Association contro la Fondazione Prada che la espone.

Con l'installazione Monte di Pietà, l'artista svizzero Christoph Büchel ha urtato i nervi della European Jewish Association. Tanto che il rabbino Menachem Margolin che la presiede, ha chiesto alla Fondazione Prada di «rimuovere tutti gli elementi antisemiti di questa opera». Secondo l'associazione ebraica europea con sede a Bruxelles, che dice di rappresentare «centinaia di comunità ebraiche nel mondo», diversi visitatori «ebrei e israeliani» si sono sentiti «offesi» da una mostra in cui hanno rilevato «chiari toni antisemiti».

L'istituzione artistica e culturale di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, interpellata a proposito, ha risposto di non avere commenti da fare, al momento.

Monte di Pietà provoca e disorienta fin dall'esterno. Si attraversa il portone di Ca' Corner della Regina come i veneziani tra il 1834 al 1969, quando il palazzo ospitava il Monte di Pietà di Venezia. Oggi è uno degli spazi espositivi permanenti della Fondazione Prada e fino al 24 novembre ospita la complessa installazione di Büchel, che indaga e riflette sul ruolo del debito alla radice della società e come strumento di controllo e dominio politico e culturale attraverso il denaro, fino alla moneta virtuale.

Il portone del palazzo storico è incorniciato da manifesti con "pubblicità" di una "House of Diamonds" e "Compro oro vendo oro". Dal Canal Grande spiccano i banner colorati che richiamano "Liquidazione totale", "Fuori tutto". Il primo salone è una ricostruzione storica. Nelle altre stanze ci si immerge tra cumuli e cumuli di beni in pegno. Superato lo stordimento provocato dalla sovrabbondanza di oggetti in ambienti saturi - abiti, gioielli, libri, mobili, biciclette, armi, giocattoli - la valanga di input e riferimenti provoca un senso di disagio.

L'installazione include anche documenti, opere d'arte storiche e contemporanee relative alla storia della proprietà, al credito e alla finanza. Il comunicato dell'Eja approfondisce il concetto che li ha portati a protestare. «Tra questi - si legge nella nota - ci sono documenti precedentemente classificati del governo britannico relativi a "war bond" prestati all'allora Stato di Palestina. Ci sono anche sacchi di cemento con scritte in ebraico tra le rovine». È la stanza laterale, al pian terreno, dove l'artista svizzero ha "ricostruito" la distruzione dell'ospedale Al-Shifa di Gaza, un ambiente illuminato a intermittenza, ricoperto di polvere e detriti, con i sacchi di cemento contro cui l'Eja punta il dito. La critica politica è evidente. E l'associazione ebraica se ne lamenta, citando «numerose fonti, tutte ebraiche» che hanno ritenuto che «il cemento suggerisse che Israele stesse traendo profitto dalla distruzione».

La nota prosegue mettendo in evidenza ulteriori elementi di disturbo: «Un monitor che mostra immagini di Tel Aviv e Gerusalemme e i confini di Gaza e del Libano. Dietro questo monitor c'è una cartolina in ebraico con il busto di Lord Balfour (l'allora ministro degli Esteri inglese, ndr) e la data del 2 novembre 1917 in cui è stata firmata la dichiarazione» con cui il governo britannico si impegnava a sostenere la costituzione di un "focolare nazionale" per il popolo ebraico in Palestina. È la stanza con i monitor di videosorveglianza che trasmettono immagini in tempo reale provenienti dall'Ucraina e dal Medio Oriente. Il sito di arte Exibart ci legge la critica al fatto che «uno dei valori più preziosi di cui eravamo possessori, la privacy, diviene merce a basso costo dal peso infinitesimale rispetto alla criptovaluta minata dalla parete di Gpu che si può incontrare lungo il percorso». Per l'Eja, invece, chi ha visto la mostra ha ritenuto che «cercasse di collegare la creazione dello Stato di Israele a una sordida questione segreta e finanziaria».

La polemica è spesso andata a braccetto con le installazioni di Büchel la cui cifra è, da sempre, l'impegno a smantellare criticamente «le strutture oppressive che minacciano le vite delle persone più vulnerabili», come ha sostenuto egli stesso in passato. Nel 2015 creò The Mosque per il padiglione islandese alla Biennale, sempre a Venezia. Si trattava di un'installazione artistica, ma anche di una moschea funzionante all'interno di una chiesa in disuso. Le polemiche che ne seguirono, portarono alla chiusura anticipata della mostra. Nel 2019, a urtare le sensibilità dell'opinione pubblica fu Barca nostra, «un monumento collettivo e commemorativo alla migrazione contemporanea», come ricorda il sito della Biennale (Büchel e Venezia sono evidentemente legati a doppio filo da amore e interessi reciproci), ma «rappresenta anche le politiche collettive che causano questo tipo di tragedie». Specificamente, in Barca nostra, quella del naufragio del 18 aprile del 2015 nel canale di Sicilia.

Il presidente dell'Eja, Rav Margolin, ha scritto quindi alla Fondazione Prada per esprimere il suo stupore: «Non riesco a capire come non sia riuscita a vedere i chiari toni antisemiti» nell'installazione resa ancora più «sinistra», secondo il rabbino, dal fatto che questi elementi appaiano ammantati di arte. «È estremamente pericoloso e irresponsabile», conclude Margolin, preoccupato per il record di crescita dell'antisemitismo dopo il massacro del 7 ottobre e con la guerra in corso a Gaza. 

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