Ho denunciato un islamico
Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 12/09/2024
Pagina: 1/10
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: Così ho denunciato e fatto arrestare un islamico pronto al martirio

Riprendiamo da LIBERO di oggi 12/09/2024, a pag. 1/10, con il titolo "Così ho denunciato e fatto arrestare un islamico pronto al martirio", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

L'arresto di El Mahdi Tbitbi, islamico che minacciava Daniele Capezzone e tutti noi occidentali. Giunto in Italia nel 2011, inizialmente ben integrato, si è rapidamente fanatizzato nel 2022. Segno che il processo di nascita e crescita del terrorismo può avvenire anche qui.

 

«Userò tutta la tua famiglia per fartelo capire»: questo poco amichevole messaggio era direttamente indirizzato a chi scrive questo articolo.
Ma ce n’erano anche molti altri – come dire – più generali, rivolti erga omnes verso tutti noi occidentali, per definizione infedeli: «Preparate le vostre teste ad essere tagliate», «Io amo la vendetta», e ancora «Morire non è un problema», «Esploderò», «Percorrerò questa strada fino alla morte».
Parole e musica di El Mahdi Tbitbi, il 28enne marocchino che ho personalmente provveduto a denunciare l’inverno scorso, dopo aver ricevuto minacce via Instagram dal suo profilo. In collegamento con l’edizione delle 19 del Tg4 dalla sede di Libero, una sera di novembre avevo commentato un servizio sul velo islamico, sottolineando come in gran parte dei casi si tratti di un’imposizione ai danni delle donne e non di una scelta libera.
Cosa che è parsa al marocchino una valida ragione per minacciarmi.
Dopo un’approfondita indagine – per la quale ringrazio molto la Digos e gli inquirenti – questo signore è stato arrestato ieri a Milano. E sono emersi numerosi elementi di enorme interesse. Il tipo era in Italia dal 2011, e per un certo numero di anni appariva ben integrato: atteggiamento poi mutato e addirittura rovesciato a partire dal 2022. Il che – prima osservazione significativa – mostra come i processi di radicalizzazione possano tranquillamente avvenire qui, in territorio italiano, anche molti anni dopo l’arrivo.
Non solo. Questo signore si trovava in un centro di accoglienza di Milano dove saltuariamente lavorava come interprete e mediatore culturale: segno di come proprio in questi snodi delicati – sociali e professionali – possano nascondersi insidie di segno integralista. E viene dunque da chiedersi: quanti saranno gli “El Mahdi” che non conosciamo, totalmente invisibili, non segnalati come radicalizzati, apparentemente “mimetizzati” nel normale tessuto sociale delle nostre città? E cosa diranno, che semina faranno, verso le persone con cui entrano in contatto? Non è purtroppo difficile immaginarlo.
Altro aspetto interessante e inquietante: il marocchino, a fasi alterne, manifestava intenzioni violente qui (verso di me ma anche verso importanti figure politiche, inclusa la premier Giorgia Meloni e il vicepremier Matteo Salvini), e contemporaneamente si dichiarava un “mujaheddin” pronto ad andare a combattere in Palestina. In una recentissima intercettazione di un colloquio in arabo con la madre, l’arrestato diceva esplicitamente che stava vivendo «momenti difficili» e che pensava solo «di andare a morire con i soldati e combattere in Palestina».
Segno che – come qui su Libero scriviamo da tempo immemorabile – per questi fanatici il Medio Oriente e le nostre capitali occidentali sono semplicemente due diversi teatri della stessa battaglia: la violenza e la morte possono essere seminate alternativamente lì o qui. L’importante è punire gli infedeli, gli occidentali, i cristiani e gli ebrei.
E allora – farneticazione o minaccia? – ecco l’ampio ricorso a una simbologia molto scoperta: una bandiera nera, una bandiera verde, un pugno chiuso con l’indice alzato ad evocare l’unicità di Dio secondo l’impostazione islamica, ovviamente molti coltelli.
Che conclusioni possiamo trarre da questa vicenda?
L’immigrazione va tenuta sotto controllo: senza cadere in automatismi o in colpevolizzazioni indiscriminate, è proprio dentro un’ondata troppo grande che possono nascondersi – o crearsi, come in questa vicenda – casi di integralismo. Ancora: nella dimensione di terrorismo fai-da-te in cui viviamo, con istruzioni ricavabili in rete e un pulviscolo di potenziali attentatori, anche figure apparentemente integrate o comunque inserite nel nostro tessuto sociale possono rappresentare una bomba ad orologeria. Occorre vigilare – cosa che le forze dell’ordine e gli apparati di sicurezza fanno in Italia in modo mirabile – ma occorre anche espellere sempre di più: meno di questi soggetti stanno sul nostro territorio, e meglio è.
E infine, per noi cittadini (non importa se pubblicamente esposti o no) è decisivo denunciare: tacere non serve. Anzi, diciamolo fuori dai denti: ieri (per chi mi legge stamattina) non avrò forse trascorso la migliore delle mie giornate. Ma, se mesi fa avessi deciso di non denunciare e se quindi il soggetto fosse rimasto a piede libero, sarebbe stato incomparabilmente peggio dover magari leggere la notizia, tra qualche tempo, di un crimine commesso da quel tipo contro una persona innocente. Pensiamoci bene prima di chiudere gli occhi e voltarci dall’altra parte. 

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