Riprendiamo da LIBERO di oggi, 11/09/2024, a pag. 14, con il titolo "Quei duelli storici in Tv hanno cambiato l'America" l'analisi di Maurizio Stefanini.
Maurizio Stefanini
Si dice “dibattito all’americana”, e in effetti la cosa è nata negli Stati Uniti, anche se in realtà la tradizione vera e propria si è affermata da meno di una quarantina di anni. L’antecedente è addirittura nel 1858, quando due candidati a un seggio di senatore per l’Illinois si sfidarono per ben sette volte, recandosi da un posto all’altro con un treno. In realtà non era un vero e proprio confronto diretto. Parlavano a turno per 60 minuti, poi per 30; e all’incontro successivo si ricominciava dal numero due. Vinse il Democratico sul Repubblicano, il cui partito era stato appena fondato. Due anni dopo la stessa coppia si affrontò per la presidenza, e stavolta fu il Repubblicano Abraham Lincoln a prevalere sul Democratico Stephen Douglas.
Sarebbe passato però oltre un secolo prima di tornare a quello schema, con la sfida tv del 25 settembre 1960. Quasi la pura immagine, però, aiutò il belloccio Kennedy a travolgere un Nixon che oltre a essere meno avvenente era pure visibilmente sofferente per un malanno al ginocchio. Nei tre dibattiti successivi se la cavò un po’ meglio, ma se si considerano gli appena 112.827 voti di differenza tra i due su un corpo elettorale di 68.895.628 persone si scopre il come Nixon in pratica si sia giocato tutto in quell'occasione. Il che spiega poi bene il perché, nel 1960, 1964 e 1972, non ci volle più provare nessuno: a parte un paio di schermaglie alle primarie Democratiche, nel 1968 tra Robert Kennedy e Eugene McCarthy e nel 1972 tra George McGovern e Hubert Humphrey.
IL TRIONFO DI REAGAN
Ci volle insomma l’ondata di sfiducia di massa provocata dallo scandalo Watergate perché nel 1976 Ford e Carter cercassero di accattivarsi l’opinione pubblica con un richiamo al mito kennedyano: tre dibattiti tra di loro, più uno tra i candidati alla vicepresidenza. Ford vinse il primo, ma infilò una gaffe dopo l’altra nel secondo, per poi finire travolto.
Forse in seguito ai due rovesci di immagine i Repubblicani alla volta successiva prescelsero un grande comunicatore come Reagan, che infatti stracciò Carter nel 1980, trasformando lo stretto margine di vantaggio dei sondaggi in una cavalcata trionfale. Da allora la capacità di comunicare in tv è divenuta la regola numero uno per gli aspiranti presidenti, anche se l'interesse è stato altalenante. I 66,4, 61,9, 63,7 e 60, milioni di spettatori su 179 milioni di americani del quattro dibattiti del 1960 furono più o meno confermati dai 69,7, 63,9 e 62,7 del 1976, anche se la popolazione era cresciuta, mentre il dibattito tra i vice si fermò al 43,2.
Nel 1980 con Reagan si salì a 80,6 milioni. Nel 1984 si scese a 65,1 e 63,7 milioni, mentre il dibattito vicepresidenziale si fermò a 56,7. Mondale vinse il primo incontro, ma al secondo, il 21 ottobre 1984, il 73enne Reagan infilò contro il 56enne avverrsario la battuta risolutiva: «Non farò dell'età un problema di questa campagna.
Non sfrutterò, a scopo politico, la giovinezza e l'inesperienza del mio avversario».
Nel 1988 si confermarono 65,1 milioni al primo dibattito e 67,3 al secondo, con in mezzo un confronto vicepresidenziale da 46,9. Le elezioni le vinse George Bush, al traino di Reagan di cui era stato vicepresidente. Il 1992 mantenne 62,4, 69,9 e 66,9 milioni, con 51,2 per il dibattito vicepresidenziale. Bush fece però una figuraccia, guardando l’orologio. Non solo vinse Clinton, ma dal 1996 l’audience precipitò: 46,1 e 36,3 milioni, con 26,6 per i vice.
Tendenza confermata anche per George W. Bush contro Al Gore nel 2000: 46,6, 37,5 e e 37,7 milioni, con 28,5 per il dibattito dei vice. Ma nel 2004, dopo l’11 settembre e le guerre in Afghanistan e Iraq, si tornò ai livelli di prima del crollo, per lo meno nel primo incontro, anche se da quei 62,4 milioni si passò poi a 46,7 e 51,1, con 43,5 per i vice. Kerry prevalse nel primo, mentre il dibattito vicepresidenziale e il secondo incontro furono equilibrati. Al terzo, rispondendo a una domanda sui diritti degli omosessuali, Kerry però scivolò ricordando che la figlia del vicepresidente Cheney era lesbica.
George W. Bush vinse in modo più netto che nel 2000.
IL PICCO DI ASCOLTI
Sorpresa nel 2008, quando i 69,9 milioni del dibattito vicepresidenziale tra Biden e la carismatica Sarah Palin sorpassarono i 52,4, 63,2 e 56,5 dei tre match tra Obama e McCain.
Obama nel primo dibattito prevalse su temi economici mentre McCain appariva più convincente in politica estera, ma nei successivi allargò il suo distacco.
67,2 milioni, 65,6 e 59,2 furono le audience del 2012, e 51,4 quello della vicepresidenza. Il primo march fu per Obama un disastro. Come distratto da altri pensieri, non si rivolgeva direttamente al suo avversario; e spesso guardava in basso mentre Mitt Romney parlava. Ma poi Biden vinse il suo confronto, e un Obama più concentrato riprese forza, assicurandosi sia gli altri due incontri che la vittoria finale.
Gli 84, 66,5 e 71,6 milioni dei tre dibattiti del 2016 danno la misura del fenomeno Trump, specie se si confronta questo record positivo con quello negativo dei 36 milioni del dibattito tra i vice. In teoria, le rilevazioni dei media più quotati indicarono tutte vittorie della Clinton, che era anche in testa ai sondaggi. Però poi vinse Trump, sia pure con meno voti popolari. Nel 2020 ci furono 73,1 e 63 milioni di audience, ma uno dei tre dibattiti fu cancellato per il Covid che aveva preso Trump, mentre tra i vice finì con 57,9. Il primo incontro fu una rissa non solo di insulti tra Trump e Biden ma anche di interruzioni tra il moderatore e Trump, che fu giudicato vinto da Biden. L’ultimo incontro vide un clima migliore, ma stando ai sondaggisti non avrebbe influito su un elettorato già deciso. Al contrario, il primo dibattito del 2024, ebbe solo 51 milioni di spettatori: ma sono cifre che ormai indicano poco, perché in molti non vedono più in tv ma in streaming. Ha comunque avuto l’effetto di costringere un Biden visibilmente stanco addirittura al ritiro.
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